Genitore Stato

Oggi i figli sono tirati su dal "genitore Stato", (fra cui quello straordinario erogatore di criteri pedagocici "avanzatissimi" e a gogo, ovvero la Corte di di Cassazione con le sue sentenze familiariste).

Sottolineo: genitore Stato; infatti secondo il minculpop del femminismo statale contemporaneo, la paternità è maternità e viceversa. Il primo termine anche sconveniente, quasi imbarazzante. Tirati su così bene e così democraticamente che dopo aver pestato i genitori anziani e il padre invalido (è successo in Italia: vedi Repubblica 31 agosto 2004) chiamano la polizia perchè li arresti avendo osato negare loro il diritto di uscire la sera. O fa accorrere i poliziotti a sirene spiegate ( in USA: vedi Repubblica idem) a buttare in galera un maschietto di otto anni che ha giocato duro a pallacanestro. Mi viene subito in mente la sentenza della Cassazione che ha condannato a due anni il papà che ha dato due ceffoni alla figlia minorenne tornata alle quattro di notte a casa. Evidentemente due ceffoni del papà lasciano segni psicologici ben più gravi delle carcerazioni con tanto di poliziotti che ti vengono a prendere alle elementari a sirene spiegate. O le notti in preda a sostanze psicotrope e alcool con ritorni a centosettanta all'ora contro un muro: meglio galeotti o drogati o morti che sottoposti all'autorità, ispirata dall'amore, del proprio padre. Naturalmente Padre-padrone.
Questa follia, una fra le tante, riesco a spiegarla solo con una irrefrenabile pulsione di autodistruzione della nostra civiltà, un incontenibile desiderio di morte coltivato sotto le più varie e nobili motivazioni (vedi per es.: l'eutanasia adesso anche per i minori). Un desiderio incontrollato che penso sia direttamente proporzionale alla indisponibilità a considerarsi creature e quindi figli di un Padre divino creatore. Orfani di una relazione che consente, unica, di rivolgersi ad un Padre che ti offre il rinnovo del cuore e della volontà nel perdono e nell'accoglienza, non sopportiamo più la nostra condizione di esseri consegnati al limite, all'errore, al male, al peccato, alla sofferenza. Non ci sopportiamo più come umani: appena possibile ci "facciamo fuori" nei mille modi in cui ci si può "far fuori" e "facciamo fuori" chi non è sufficientemente "perfetto". Con la morte dichiarata del Padre celeste, come può vivere il padre terreno? troppo poco di tutto per poter incarnare l'autorità: meglio un dipendente statale con la paletta, o la toga, o il diploma rilasciato dallo Stato. E il compito di definire "il canone della perfezione", magari di una relazione tra padre e figli, affidato al casermaggio unisex poliziesco/giudiziario, in stretto cordinamento col casermaggio unisex sanitario e scientifico. Sono questi, sottoposti spesso agli interesse economici dei centri del biopotere, gli ambiti in cui oggi si elabora l'etica di Stato, la moralità prescritta ai cittadini, la loro stessa affettività. Etica, moralità, modalità affettive, imposte manu militari agli individui contro ogni legge e sentire del cuore, contro ogni umana ragionevolezza. Un superomismo, tanto orgoglioso, arrogante e violento, quanto fragile e inconsistente nei suoi presupposti. Un superomismo che dilaga sotto le mentite spoglie di diritti universali. Pseudodiritti, un fantasma della libertà: autorizzazioni legali, solo per chi ne ha titolo, a commettere crimini o inenarrabili disastri senza alcuna responsabilità a tutela del ruolo. Aborto, eutanasia, clonazione, negazione dellidentità genetica e affettiva, negazione del diritto alla paternità, uso di psicofarmaci per i minori, ecc., ecc. Un processo violentissimo che ci sta facendo digerire l'impensabile e l'inaccettabile. Una devastazione dell'immmagine stessa dell'umanità, del suo sentire, della sua percezione positiva di sé, devastazione che non ha precedenti nella Storia: ben peggiore della tragedia delle atrocità dei totalitarismi del 900. Un "progresso" indiscutibile se il desiderio che ci muove è la pulsione di morte. Una strada da cui è necessario togliersi al più presto, se davvero, come civiltà, amiamo la luce del sole.

Cesare