Il destino di un guerriero

Regia Augustin Diaz Yanes
Con Viggo Mortensen, Elena Anaya, Unax Ugalde, Eduardo Noriega,….

Spagna, 2006

A cura di Armando Ermini 

“Ho ammazzato eretici e scritto versi”, dice ad un certo punto del film Inigo Balboa (Unax Ugalde), il giovane che il padre morente ha affidato alle cure del commilitone Diego Alatriste (Viggo Mortensen) .
Nulla di più lontano, di opposto. Ma in quella frase, e proprio perché pronunciata dal giovane allievo, si condensa il senso della vita di un uomo ed i significati del film. Male e bene, ed in genere tutte le coppie di opposti di cui è intessuta la vita, non sono entità scisse che si polarizzano nell’eroe negativo e in quello positivo, come siamo abituati a pensare trasponendo meccanicamente il giudizio morale (o moralistico) su un fatto, in questo caso la guerra, ai suoi protagonisti. Se la violenza è oscena, automaticamente lo sono i guerrieri. Ma così non era e così non è neanche oggi, perché gli opposti attingono alla stessa fonte e si manifestano nella stessa persona. E, altro luogo comune sfatato dal film, non è nemmeno vero che il denaro in sé sia sempre fattore di corruzione e di degrado dell’agire umano, almeno non più del potere o anche degli ideali politici o religiosi, per perseguire i quali si finisce spesso per calpestare o trascurare l’umanità delle persone.
È questa la vicenda del capitano di ventura Diego Alatriste, guerriero di professione, pagato per fare la guerra ma fuori dai giochi di potere e dalle trame del Palazzo, e del suo figlioccio Inigo, giovane incline alle lettere che finisce per assorbire la filosofia di vita del suo mentore. Alatriste e Inigo attraversano le intricate vicende del regno di Spagna all’apice della sua potenza (siamo intorno alla metà del ‘600), senza mai venir meno al proprio codice d’onore virile. Alatriste sospetta le trame di potere fra le fazioni, vede i risvolti ambigui fra ragion di stato e interessi personali, capisce che anche l’amor di Patria non è ideale puro, ma preferisce farsi uccidere piuttosto che mancare alla parola data. E, altro insegnamento che trasmette a Inigo, sa amare una donna con la stessa forza e determinazione con cui fa la guerra, senza tuttavia diventarne dipendente e ben vedendo le contraddizioni che attraversano anche il genere femminile fra amore e potere, sentimento e denaro. Qualche critico sospettoso di qualsiasi rappresentazione del femminile, meno che agiografica o eternamente vittimistica, ha parlato di figure femminili stereotipate, ma basta guardarsi intorno per accorgersi che anche in questo caso nulla è mutato da quell’epoca. Oggi, semmai, mancano Maestri e Padri che senza essere eroi incontaminati sappiano trasmettere ad allievi e figli il senso della virilità e dei suoi codici, ma non è venuta meno l’esigenza di queste figure maschili. Si è anzi moltiplicata nei giovani l’ansia e l’aspettativa di individuarle, perché sono necessarie alla vita spirituale come l’ossigeno a quella fisica. Perciò non ha senso l’appunto rivolto da taluni critici al film di nostalgia retrospettiva. Del passato deve essere recuperato, e proprio per dare direzione al futuro, ciò che è eterno e che sembriamo aver dimenticato, non ciò che è storico e caduco. Questo ci dice il film spagnolo, in controtendenza rispetto alla filmografia almodovariana ed in piena era zapaterista che del passato vorrebbero fare tabula rasa.
Infine una notazione estetica. Mancano gli effetti speciali, le scene di massa sembrano povere rispetto a quelle ricostruite al computer a cui ci stiamo abituando. Ebbene, senza negare la spettacolarità e la suggestione di queste ultime, un bagno nel realismo è salutare per non abituarci a realtà virtuali che rischiano di fagocitare e sviare pensiero e immaginazione.

[11 luglio 2007]