Sarò sempre tuo padre. Luci e qualche ombra nella fiction di RAI 1

La RAI, dopo tanta paccottaglia, offre finalmente alla sua platea nazionalpopolare una fiction su un tema di drammatica attualità, quello dei padri separati. Evento da salutare positivamente, nonostante qualche ombra pesante.

Almeno riconosce l’esistenza del problema e non tratta i padri da felloni irresponsabili come tutti i media hanno fatto per decenni. Credo sarebbe stato eccessivo chiedere di più. Poi starà ai telespettatori, che sono statimoltissimi, giudicare la credibilità e la veridicità dei personaggi, come la moglie "ingenua", o l’improbabile figura dell 'assistente sociale, femmina caritatevole, che prende a cuore quei padri quasi guidandoli verso il riscatto, come fossero incapaci di trovare in sé la forza per farlo.
Una cosa che, credo, avrà impressionato lo spettatore è il contrasto fra la freddezza delle leggi e delle regole (sul rispetto delle quali insiste molto la moglie), e il senso di amore del padre che a quelle regole viene costretto a piegarsi.Ma quelle leggi ingiuste e inumane, e quì è un punto debole, non nascono dal nulla, come sembra nella fiction. Hanno una lunga storia pluridecennale, sono state scelte precise di cui qualcuno porta la responsabilità, e sono frutto di un clima culturale svalutativo del padre e della sua importanza.
Solo a causa di questo clima che si è insinuato come un cancro nell’anima di tante, troppe, persone (donne ma anche uomini), si può spiegare che quella moglie, prototipo di molte altre, possa pensare, in buona fede come appare nel film, di "fare il bene del figlio” impedendogli di vedere il padre se non nei binari strettissimi imposti, appunto, dalle "regole". Di tutto questo poco o niente si percepisce nella fiction, dove in pratica tutti sono vittime quasi sullo stesso piano e la “falsa coscienza” della moglie appare edulcorata in buona fede manipolata dall’avvocato. Peccato.Un'altra cosa che mi ha colpito in negativo, e che fa il paio con la precedente, è che pur di fronte ad un marito che viene lasciato senza che abbia commesso nulla di male, la tendenza è sempre quella di addebitare a lui la responsablità dell'evento. Perchè non l'ha messa al centro, non le è stato vicino, perchè non l'ha capita, perchè non l'ha valorizzata, perchè ha dato tutto per scontato, perchè...perchè..perchè.. Mille perchè, magari spesso anche veri, in parte, ma al centro dei quali esiste sempre e soltanto il dovere maschile di prestare attenzione alla propria donna, e mai il reciproco. Come si fosse certi che nel maschio non alberghino sentimenti, aspettative, speranze o delusioni nei confronti della compagna. Come se nel matrimonio non dovesse esistere scambio reciproco a tutti i livelli, o peggio come se nel matrimonio la donna fosse a priori il polo positivo mentre l'uomo la polarità positiva dovesse guadagnarsela costantemente.Concezione che in un contesto culturale diverso dove ruoli, funzioni, pesi e contrappesi erano tutt'altri da quelli odierni, aveva un senso. Ma che trasportata all'oggi, dopo la rivoluzione sessuale e femminile, sancisce solo la subalternità psichica degli uomini.
E' vero, come dicevo all'inizio, che non si può pretendere troppo da una televisione pur sempre attenta a non toccare i sacrari del politically correct, ma qualcosa che inducesse a riflettere anche su questi aspetti avrebbe avrebbe contribuito ad esplorare più a fondo l’universo maschile e paterno, e simmetricamente anche quello femminile e materno.
Sarà forse per un’altra occasione. Intanto accontentiamoci di un prodotto televisivo finalmente buono.