L'ora della palestra
Dalla rubrica info/psiche lui di Claudio Risé in Io Donna, allegato del Corriere della Sera del 24-02-02.
E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io Donna, Rcs Periodici, via Rizzoli 4, 20132 Milano
«Ho 30 anni, vendo case per un’agenzia immobiliare a Torino e stacco dal lavoro intorno alle 19. A quel punto, dopo essermi rattrappito tra scrivanie e macchina, aver respirato aria cattiva e ascoltato un mare di stupidaggini da proprietari-venditori e aspiranti compratori, ho bisogno di ritrovare il mio corpo nel silenzio e di sentire che funziona ancora. Come? Andando in palestra. Lì c’è la mia oasi di libertà e di rigenerazione. Entro e vado dritto alla sala degli attrezzi e dei pesi. Gli altri frequentatori non li vedo nemmeno. E, alla fine, mi sento proprio bene. La mia ragazza però, un tipo intellettuale, sostiene che la mia è una sciocca perdita di tempo. Se mi capita di controllare i tricipiti o la pancia, ridacchia, senza alcuna benevolenza. Invece che in palestra, secondo lei, potrei andare più intelligentemente al cinema. Ma io ho bisogno di solitudine. Per riappropriarmi di me stesso».
Lettera Firmata, Como
Caro amico, il suo bisogno, oltre che ampiamente condiviso, come dimostra il proliferare di palestre e centri per il corpo, è assolutamente legittimo e sano. Contrariamente alla rappresentazione convenzionale che viene data dai media (e spesso anche dalle iniziative promozionali delle palestre), solo una parte relativamente modesta di chi le frequenta lo fa per vanità, esibizionismo, tentativo di uscire dalla solitudine.
Per gli uomini che vivono e lavorano nelle grandi città, oggi, la palestra è proprio un luogo di ritrovamento e risveglio del proprio corpo (cellula per cellula), negato e avvilito durante la giornata di lavoro, come lei descrive così bene nella sua lettera. Un luogo non facilmente sostituibile, data l’organizzazione della vita nelle grandi città.
Per esempio il correre all’aperto, il jogging, a parte “le schifezze” respirate, proprio per il movimento che lo contraddistingue non fornisce quell’ambito fermo, quasi meditativo, che consente invece di rientrare nel proprio corpo, di ascoltarlo, e di dedicarvisi. Uno spazio invece assicurato dalla palestra, proprio nelle sue attività meno di gruppo, più individuali: sostanzialmente gli attrezzi e i pesi. Le sale in cui questi esercizi vengono svolti forniscono, come gli antichi “gymnasii”, quello spazio di contenimento indispensabile per rientrare dall’estroversione affaristica della giornata e concentrarsi sull’attività fisica. Che viene vissuta come espressione complessiva di sé, anche della propria psiche e del proprio spirito.
Questo spazio fisico e psicologico consente a chi affronta questi esercizi di fare l’esperienza della “prova” di sé, un aspetto centrale della psiche maschile, e del suo benessere. Che non ha niente a che fare col carattere “performativo” dell’uomo, come se fosse un individuo che deve sempre dimostrare qualcosa all’esterno, perché altrimenti si sente una nullità.
Qui l’esterno non c’entra nulla, o quasi. La “prova” ginnica, fa parte, come la sua lettera illustra perfettamente, del rapporto con se stessi. L’individuo di genere maschile, se è sano, sente che deve tenere in buona forma il suo corpo, sottoponendolo ad una precisa disciplina, perché da quella “buona forma” dipende la qualità di tutto il resto della sua vita, compresa la relazione con se stesso, e con gli altri. Se il corpo, non curato o svilito nel lavoro, non è stato ripreso in mano, messo alla prova, risvegliato nell’esercizio, anche il mondo affettivo deperisce. E quello delle esperienze intellettuali rischia di diventare puramente cerebrale, di testa, quindi senza nessuna vitalità.
Ecco perché, caro amico, lei fa benissimo a tenersi stretta la sua ora di rigenerazione in palestra. Lo spieghi alla sua ragazza: se è intelligente e la ama, capirà.
Claudio Risé