Le armi dei bambini

hokusai

 

Hokusai (1760-1849), Esercizi di difesa e offesa
Il bushido, la via del guerriero, prevedeva l’acquisizione di un codice di comportamento maschile fondato sull’onore, l’autocontrollo ed il servizio per la comunità (da Gilmore D. G., Manhood in the making. Cultural Concepts of Masculinity)

 

Da info/psichelui, in Io Donna, allegato al Corriere della Sera del 8-12-01
E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132 Milano

«In occasione della Giornata Internazionale dei diritti del bambino, a Parigi gli alunni delle scuole elementari sono stati invitati a gettare via le armi giocattolo: a uno a uno sono sfilati sotto un tendone allestito nel Jardin des plantes, depositando spade di plastica, mitra e pistole giocattolo, per impegnarsi poi in disegni ispirati al motto “No alle armi”. Scopo dell’iniziativa promossa dall’organizzazione Médecins du monde, era ricordare, soprattutto ai più giovani, la tragica situazione dei bambini coinvolti nei conflitti. Oltre due milioni di minori sono morti in questi ultimi 10 anni a causa delle guerre, sei milioni sono stati feriti, soprattutto da mine antiuomo, mentre i profughi e i senza casa sono due milioni. Il ministero della Pubblica Istruzione non potrebbe organizzare qualcosa del genere anche da noi?

Renato V., Torino

Caro amico, spero proprio che il ministro Moratti, con tutti i problemi che ha sul tavolo, non si metta a organizzare pubblici Falò di pistole giocattolo. Capisco naturalmente, e condivido fino in fondo, l’angoscia dei Mèdecins du monde per lo sterminio dei bambini causato dalle armi degli adulti.
Ma non vedo perché si debba penalizzare proprio loro per questi crimini, inducendoli a buttare via le loro amatissime pistole e mitragliatrici giocattolo. E costringendoli poi a fare disegni ispirati al motto “No alle armi” che è servito soltanto finora, a distruggere i loro giochi prediletti. Quel motto lo applichino gli adulti che dispongono degli armamenti se ne sono capaci. Prevedo già la sua obiezione: «Se insegniamo ai bambini a odiare le armi, più difficilmente le useranno da grandi». Purtroppo non è così. Innanzitutto i grandi, che vendono mine o fanno gettare granate in giro per il mondo, non hanno niente a che vedere con i bambini che giocano ai cow boy e ai pellerossa. Di solito sono dei signori che da piccoli hanno giocato molto poco, nella cui infanzia le emozioni “calde” (il gioco, la lotta) sono state fortemente inibite e che, anche per questo, riescono ad appassionarsi solo a cose tristi e “fredde”, come i profitti delle vendite di armi e mine. Il modo migliore per evitare che i nostri bambini diventino come questi freddi mercanti di morte è addestrarli a riconoscere la propria aggressività, a esprimerla da piccoli, a farne elemento di gioco e strumento di amicizia. Combattere, sfidarsi, è infatti per i bambini un passaggio propedeutico alla simpatia e all’amicizia. Certo, combattimenti e sfide infantili si celebrano, oltre che con i sempreverdi giochi a rincorrersi, prendersi e fare un po’ a pugni, anche con spade, pistole, mitragliatrici, laser e così via. Ma noi adulti non possiamo essere così ipocriti da riempire di armi gli schermi, dal più banale telefilm ai più complessi kolossal, e celebrare le nostre feste nazionali con imponenti sfilate di militi e carri armati, per poi pretendere che proprio i bambini dicano “No alle armi”. Non è certo questo un antidoto alla violenza: basti pensare che molti serial killer erano bambini buoni e gentili, che non giocavano mai alla guerra. Ma appena potevano torturavano animali o amichetti malcapitati. L’aggressività è un impulso naturale dell’essere umano, un’espressione della sua forza vitale che, se viene represso, si rifugia nell’inconscio. Per riemergere poi sotto altre forme, in alcuni casi perverse o mostruose. Mi sembra inoltre moralmente inaccettabile caricare sulla delicata coscienza dei bambini i milioni di piccoli dispersi, menomati, uccisi dai disegni di potere e dai calcoli di interesse degli adulti. Sono i grandi che creano questi disastri. E dunque loro, non i bambini, possono (forse) evitarli nel futuro.

Claudio Risé