Le gambe della libertà (W.Mcelroy)

 gambe

Una difesa dei diritti delle prostitute - con un saggio introduttivo di Roberta Tatafiore e Postfazione di Marco Faraci
(Wendy McElroy, Leonardo Facco Editore, Treviglio, 2002)

 In una stagione di forte criminalizzazione istituzionale della prostituzione – e soprattutto dei maschi che scelgono l’amore a pagamento – come quella che sta vivendo il nostro Paese, con   giovani vite rovinate, o  spezzate,   ci sembra utile consigliare vivamente la lettura del libro: Le gambe della libertà. Una difesa dei diritti delle prostitute, appena pubblicato dall’editore Leonardo Facco (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per la collana “Laissez faire”, diretta da Alberto Mingardi.
L’autrice di questo testo, Wendy McElroy, è una femminista americana che ama profondamente la libertà ed è perciò da tempo in lotta con il mainstream del movimento femminista statunitense egemonizzato dalla corrente culturale del “femminismo radicale o di genere”. Quest’ultimo, oltre a pensare il sistema capitalista come un prodotto, e la perfetta espressione, del genere maschile, rappresenta i rapporti fra uomini e donne avvalendosi sostanzialmente delle categorie marxiane dell’interesse e della lotta di classe. Gli interessi delle donne, in questa prospettiva che ci sembra francamente limitata e senz’anima, sarebbero in lotta, perché incompatibili, con quelli degli uomini trionfanti nella società di mercato (sic!). Ciò motiva una battaglia senza quartiere contro tutto ciò che ha a che fare con la maschilità e la cultura maschile. Dove battaglia senza quartiere significa guerra con ogni mezzo, a cominciare dalle leggi dello Stato volte ad accordare posizioni di privilegio al genere femminile, penalizzando i maschi colpevoli semplicemente di essere tali.
A questo femminismo radicale, come spiega chiaramente Wendy McElroy nella sua nota preliminare (ma si vedano anche l’ampio saggio introduttivo di Roberta Tatafiore e la Postfazione di Marco Faraci), si contrappone la visione del “femminismo individualista o libertario”, cui fa riferimento la stessa autrice. Il quale rifiuta le logiche dei privilegi, come naturalmente quelle delle restrizioni di libertà, accordate in funzione del sesso: donne e uomini sono innanzitutto individui e, dunque, devono essere trattati dall’ordinamento giuridico ugualmente, ossia indipendentemente dalle differenze di genere. In particolare, secondo il femminismo libertario, tutte le norme che tendono a porre sotto tutela le donne (per esempio riservando loro delle quote specifiche di accesso ad incarichi pubblici piuttosto che alle candidature nelle liste dei partiti, in Parlamento, etc.), sono profondamente lesive della dignità femminile poiché presuppongono l’incapacità delle donne di affermarsi in un contesto di condizioni paritarie rispetto agli uomini. Ma le norme che pretendono di “proteggere” le donne rischiano, inoltre, di non rispettare l’autonomia femminile limitando, di fatto, la loro libertà. Ciò appare limpidamente proprio per quanto concerne la questione della prostituzione.
E’ questo, non a caso, uno dei temi in cui si manifesta con maggiore evidenza la diversità di prospettive dei due femminismi. Le gender feminists, infatti, considerano la prostituzione in sé un attentato ai diritti civili delle donne e, “per il bene di chi si prostituisce”, assumono una posizione decisamente proibizionista e colpevolizzante degli uomini coinvolti nella prostituzione. Secondo le femministe radicali, in sostanza, una donna non è mai veramente libera quando sceglie di prostituirsi, ma lo fa perché costretta economicamente o psicologicamente. Wendy McElroy ne Le gambe della libertà dimostra, al contrario, attraverso una serie di interviste e documentazioni fornite dai comitati per i diritti civili delle prostitute, come moltissime donne scelgano liberamente il lavoro sessuale. Affermando altresì il principio sacrosanto che “per le prostitute possono parlare solo le prostitute” e non le femministe radicali accecate dal furore moralistico, che trova nella sessualità maschile il suo bersaglio prediletto. Certo, ci sono molti tipi di prostituzione e ci sono anche donne brutalizzate, violentate e costrette a vendersi. Ma – sottolinea correttamente Wendy – questi casi si configurano come episodi di violenza, stupro, sequestro e come tali devono essere perseguiti. La prostituzione in senso proprio, invece, è un libero scambio (o un dono reciproco, diciamo noi) che avviene con il libero consenso di entrambe le parti. Criminalizzare questo rapporto, magari colpendo i clienti, vuol dire calpestare la libertà degli uomini ma anche delle prostitute, anziché difenderne i diritti. Scrive infatti l’autrice: «E’ evidente come arrestare gli uomini che procurano loro di che vivere sia un attacco diretto alle donne che scelgono la prostituzione». Il femminismo individualista, in definitiva, propone la decriminalizzazione totale dell’amore a pagamento, cioè l’abolizione di tutte le leggi in materia. Se infatti il proibizionismo è la bestia nera delle femministe libertarie, la stessa legalizzazione viene considerata come una forma di invadente controllo del fenomeno da parte dello Stato, con possibilità di schedatura delle donne che scelgono questo mestiere ed altre forme di irrigidimento illiberale della prostituzione.
Le gambe della libertà di Wendy McElroy è, insomma, un libro che ci offre molti elementi utili all’arricchimento del dibattito sul sesso a pagamento, rappresentando uno sguardo femminile libero (libertario) sulla prostituzione. Ma è molto interessante anche perché ci fornisce un punto di vista femminista singolare e, per certi versi, antifemminista. Mentre anche in Italia tutte le forze politiche stanno promuovendo vergognosamente, addirittura attraverso modifiche della Costituzione, le “azioni positive” in favore del genere femminile (ossia sistemi di leggi – in vigore già da tempo negli Stati Uniti – che avvantaggiano le donne nell’accesso al mondo del lavoro o a cariche pubbliche), ci sembra molto opportuno ripetere, e tenere bene a mente, queste parole di Wendy McElroy: «In molte nazioni oggi, la più grande minaccia all’uguaglianza di genere non sono le restrizioni legali imposte alle donne, bensì i privilegi legali garantiti alle donne sulla base del loro sesso: esempi di questi privilegi legali comprendono le azioni affermative, le leggi contro le molestie sessuali e le leggi contro la prostituzione fatte per “proteggere” le prostitute».

Paolo Marcon