Il vizio oscuro dell'Occidente (M.Fini)

Manifesto dell’Antimodernità

(Massimo Fini, Marsilio, Venezia, 2002)

 

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«C’è un solo modello possibile: la libertà, la democrazia e l’impresa, valori che devono essere protetti ovunque». Parole di G. W. Bush, nel documento presentato al Congresso americano in cui si teorizza la “guerra preventiva” alle centrali del terrorismo internazionale. Non si tratta però di idee esclusive della cattiva “destra americana”. Potevano essere pronunciate benissimo – ed anzi con maggior convinzione, visto il tradizionale isolazionismo dei Repubblicani – dal predecessore di Bush, Bill Clinton, insuperato globalizzatore degli anni ‘90. Di più: sono idee che si danno per scontate in quasi tutto il mondo progredito, o perlomeno indiscusse dalle élites politiche dell’Occidente (e poco discusse da quelle culturali).
Sono parole, quelle del Presidente americano, che esprimono perfettamente il vizio oscuro dell’Occidente, di cui parla il giornalista e scrittore Massimo Fini, in questo suo ultimo lavoro, edito da Marsilio. E’ il vizio del non riconoscimento del diritto all’esistenza e della dignità dell’«altro da sé», ossia la tendenza totalitaria della modernità occidentale dell’omologazione a sé del diverso, quindi anche dei differenti modelli di vita, sociali, politici. Una tendenza che emerge ovunque. Sotto parole rabbiose di un malinteso orgoglio occidentale e sotto parole che esprimono intenzioni buoniste di tolleranza, integrazione, aiuti al Terzo Mondo, ma che finiscono comunque per innescare il processo di “deculturazione”, come frutto avvelenato di un “imperialismo morbido” e, in definitiva, per nulla alternativo al mercato globale. Al quale, magari, si vorrebbe aggiungere solo un po’ di welfare piuttosto che una piccola tassa sulle transazioni finanziarie, progetti perfetti per ingrassare burocrazie sradicate e sradicanti.
Emerge ovunque, questo vizio occidentale, perché è il portato logico del pensiero unico moderno, dentro la cui gabbia si svolge anche il dibattito politico. Dimentico delle meditazioni che i grandi filosofi europei hanno saputo esprimere (e di cui davvero dobbiamo essere orgogliosi, senza per questo sentirci superiori ad altri), il pensiero moderno, paradossalmente, non riesce a «pensare la modernità». Ma solo a viverla, proporla, imporla, come il “migliore dei mondi possibili”, per usare l’espressione di Voltaire, poi parafrasata da Karl Popper, il filosofo-cantore della modernità.
Sulle diverse modalità di questa esportazione/imposizione del modello politico-sociale-culturale occidentale, a realtà diverse dalla nostra, è già stato detto molto, e da più parti. In questo pamphlet Fini si sofferma in particolare sulla “mano militare” della globalizzazione che, soprattutto a partire dalla metà degli anni Novanta (epoca della guerra in Bosnia), ha utilizzato la categoria,   giuridica,  dei “diritti umani”. Si è stravolto così il diritto internazionale, con il suo principio cardine della “non ingerenza” negli affari interni di uno Stato, dando legittimità alle guerre mondialiste in cui, nelle operazioni di “intervento umanitario”, la presunta tensione etica per la salvaguardia dei diritti individuali confondeva gli interessi, i progetti e le convinzioni della potenza egemone. Il vizio occidentale si nutre poi, secondo Massimo Fini, di una visione manichea del Bene e del Male: da questo punto di vista il lessico utilizzato, da entrambe le parti, nell’emergenza del terrorismo internazionale, sarebbe estremamente significativo.
Ma Fini, in questo libro scritto con lo stile corrosivo che lo contraddistingue, non si limita a riflettere sulle ricadute esterne della visione occidentalista del mondo; analizza anche la desertificazione interna al «modello paranoico» del migliore dei mondi possibili: la perdita della nostra stessa identità, e del senso dei rapporti sociali, nella società industriale e post-industriale. Racconta l’autore: «Come al cinodromo i cani levrieri, fra le bestie più stupide del Creato, battagliando e mordendosi l’un l’altro, inseguono la lepre di stoffa che, per definizione, non possono raggiungere, così è l’uomo d’oggi». Così è l’uomo d’oggi, nella società della ricerca incessante, individuale e collettiva (spesso rancorosa ed invidiosa), del Meglio, anziché di un punto di equilibrio e di radicamento, personale e comunitario.
Nota a margine. Fini, e con lui altri fra i migliori, più lucidi e coerenti critici del mondialismo, sembra consegnare alla storia del vizio occidentale l’intero Cristianesimo. O perlomeno vede nell’evangelizzazione il primo grande tentativo di reductio ad unum. Anche volendo prescindere dalla Verità di fede di ciascuno, quest’idea, francamente, ci convince poco. Ci sembra azzardato ridurre storicamente la stessa evangelizzazione ad una vicenda di sradicamento, che non può essere l’unico aspetto di quell’avventura. Sia perché molto spesso simboli e credenze pre-cristiane continuarono a rimanere centrali anche nella vita di comunità convertite. Sia perché il cristiano, per il suo radicamento religioso, non può essere comunque accostato al “cittadino del mondo” (che, come osserva fra gli altri Pietro Barcellona, è “cittadino del nulla”). Non può essere una sia pur rigorosa posizione filosofica a ridurre Civiltà cristiana e civilizzazione occidentale (con le sue conseguenze più estreme, come la Terra guasta e i figli in provetta senza padre) alla medesima realtà. Del resto, lo stesso Fini, in questo prezioso ed utilissimo pamphlet, sottolinea il contrasto fra le verità psicologiche attorno alle quali si era organizzata la società cristiana medievale, e le menzogne psicologiche che fondano la modernità attuale: come la ricerca di una fraintesa felicità e, in sostanza, i dogmi laici di cui parlava anche René Guénon: l’uguaglianza, l’individualismo, il progresso. Lo diciamo noi, Maschiselvatici, che dalla  consueta superficialità della stampa, anche di recente, siamo stati identificati come neo-pagani: non vorremmo regalare la Cristianità, che è una parte fondamentale della nostra identità, ai globalizzatori (i quali, fra l’altro, saprebbero bene come utilizzarla, nel delirio strumentale della guerra di civiltà), né ridurre la critica coerente al mondialismo a roba da circoli neo-pagani.

 

 Paolo Marcon


MASSIMO FINI è nato nel 1944. Scrittore e giornalista, scrive per “Il Giorno”, “La Nazione”, “Il Resto del Carlino” e “Il Gazzettino”. E’ autore, fra l’altro, de La Ragione aveva Torto? (1985) e Il conformista (1990). Per Marsilio ha pubblicato Il denaro «Sterco del demonio» (1998), Di[zion]ario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina (2000), Elogio della guerra (1999) e Nietzsche. L’apolide dell’esistenza (2002).