Contro i barbari

di Marcello Veneziani - Mondatori 2004

a cura di A. Ermini

 La nostra civiltà è in pericolo. Assediata dai barbari, quelli esterni che vorrebbero abbatterla come le Twin Towers, e quelli interni, che distruggono le fondamenta della nostra cultura. Il barbaro, dice Veneziani, è chi mette in pericolo un orizzonte condiviso,…chi sabota l’ordine su cui si regge una società riconoscendosi come civiltà. E c’è una barbarie “verticale”, che in nome di un Assoluto (Dio, una Religione, un’Ideologia) sgozza, uccide, non solo in guerra ma anche in pace, ed una barbarie “orizzontale”, apparentemente incruenta, che decompone il tessuto civile, dissolve norme, comportamenti, tradizioni, in nome della libertà dai vincoli e dell’emancipazione. Queste barbarie si alimentano l’un l’altra, e se vogliamo salvare la nostra civiltà dal declino e dalla distruzione non possiamo non tenerne conto, perché la risposta unilaterale, qualunque sia, ci indebolisce. Così è per coloro che pensano di salvarla unicamente con la guerra al nemico esterno (il fondamentalismo e il terrorismo), così è per chi, al contrario, attribuisce all’Occidente e all’Amerika l’origine di ogni male e opta per il pacifismo a oltranza.
Le due risposte sembrano antitetiche, ma hanno in realtà una visione comune del mondo e del suo futuro, dentro la globalizzazione.
Gli uni la vedono come il grimaldello per esportare, più che la democrazia, il nostro stile di vita, magari col rinforzo dei cannoni. E’ forte, in costoro, la tentazione di semplificare. Islam uguale terrorismo uguale nazismo. Ed anche la tentazione di strumentalizzare la religione. Per fortuna, ci dice Veneziani, c’è chi si rende conto che la critica al relativismo, la difesa della tradizione civile e religiosa, non solo ci rendono più forti e coesi nella difesa contro il fondamentalismo, ma depotenziano, come sostiene anche papa Ratzinger, uno dei più grandi motivi di paura che l’Islam nutre verso l’Occidente. Non il Cristianesimo, ma la perdita dei valori e uno stile di vita improntato al materialismo e all’edonismo.
Gli altri, quelli che criticano la globalizzazione in nome dell’utopia cosmopolita ed egualitaria, non si accorgono di essere pienamente dentro i suoi processi. Lo sono perché non amano le differenze, fra i popoli, le loro culture e le loro tradizioni, ad iniziare dalle proprie che considerano un retaggio oscurantista.
Criticano la globalizzazione economica, ma vorrebbero unificare il mondo in nome del progressismo, dell’universalizzazione dei diritti, e della lotta contro ogni forma di razzismo. Il punto è però che sono i primi a praticare una sorta di razzismo etico, la convinzione cioè di detenere una superiorità morale, ideologica, culturale su chi non la pensa diversamente, bollato come oscurantista, barbaro, antidemocratico.
L’attenzione di Veneziani si concentra su ciò che accade dentro l’Occidente, in specie sulla nuova epocale divisione che coinvolge i principi stessi su cui si regge la nostra civiltà, al cospetto dei quali le tradizionali controversie fra gli schieramenti, destra e sinistra, fascisti e comunisti, impallidiscono. Perché mentre allora era comunque chiara la percezione di vivere dentro la stessa koinè, oggi non è più così. Come possono essere comprese nello stesso orizzonte antropologico le concezioni di chi pensa che sia indifferente la fabbricazione artificiale della vita o la procreazione naturale, fra chi crede che ciascuno possa spendersi la vita come meglio crede, eroina compresa, e chi no, fra chi ritiene che la famiglia sia un’unione come un’altra, anzi un luogo di oppressione da distruggere nella sua sostanza, e chi la ritiene ancora la cellula fondamentale della comunità?
Veneziani si schiera con trasparenza. Considera la deriva nichilista e relativista come il male oscuro che divora l’occidente e contraddice la sua storia millenaria, ma non per questo si lascia tentare dalla nostalgia per i bei tempi andati, di cui riconosce le cose positive ma anche quelle negative che la modernità ha consentito di migliorare.
E’ piuttosto necessario, secondo lui, recuperare una visione alta della civiltà che prova a riassumere nel suo decalogo finale.
Civiltà come rapporto di continuità fra le generazioni attraverso la Tradizione, come legame comunitario che discende da una concezione religiosa ma non si identifica con essa, come proiezione comune verso il futuro, come capacità di difendere identità e incolumità, come trasformazione della natura in cultura, cioè incanalamento delle energie e degli istinti per uno scopo comune. La civiltà rispetta i popoli, onora la famiglia e tutela la persona mentre persegue la giustizia sociale e metabolizza le novità, gli stili di vita ma anche i problemi proposti dagli immigrati che accoglie. Riconosce di avere dei confini, non per escludere gli altri ma per darsi una forma, e sa vedere i suoi nemici. E’, insomma, molto di più del mercato globale e della tecnica planetaria. È una realtà spirituale che va rifondata, conclude, con un atto insieme rivoluzionario e tradizionale.
Chi crede che i caratteri sopra descritti siano davvero quelli che contrassegnano una civiltà, e li mette a confronto con quanto accade intorno a noi, non può non essere d’accordo.

[12 dicembre 2006]