Presunto colpevole

bambino

 

 di Luca Steffenoni

Sulla pelle dei bambini
La fobia del sesso e i troppi casi di malagiustizia

Edizioni Chiarelettere 2009

a cura di Armando Ermini

“Nei programmi televisivi, terreno di una sconfortante banalizzazione spacciata per approfondimento,…..viene sempre proposta una breve fiction introduttiva nella quale gli attori interpretano quei ruoli che sono già definiti dal subconscio collettivo: il bambino molestato, sempre posto in penombra, generalmente seduto su un letto, in modo che sia chiaro il collegamento; la presenza femminile telegenica e rassicurante dell’eroina di turno, sia essa poliziotta o assistente sociale; il turpe individuo di mezza età con la barba mal curata che assolve al ruolo di maniaco”.

Ho riportato in apertura questo passo a pag. 247 del libro perché con poche efficaci parole indica quale sia il vero significato di ciò che sta accadendo intorno allo spinoso tema della pedofilia, significato che va molto al di là di procedure poliziesche e giuridiche che lasciano amplissimo margine agli errori e che sono benissimo descritte in questa pregevole opera di controinformazione.
Viviamo, su questo sito lo si dice da anni, in una società formalmente democratica in cui però, in realtà, la presa del potere sulle persone è sempre più onnipresente e raffinata e si avvale di diversi strumenti, culturali e organizzativi, che producono il (non) stupefacente risultato di stimolare la psicosi di massa ma non di incidere per davvero sul bubbone malefico, in questo caso il fenomeno pedofilia. Anzi, più la psicosi di massa dilaga, più innocenti vedono distrutta la vita propria e quella dei figli, meno credibile diventa la Giustizia e quindi, in definitiva, più facile per i pedofili veri continuare indisturbati nelle loro turpi pratiche, se non altro perché risorse ingenti, di personale ed economiche, vengono distolte per dare la caccia ai fantasmi. Tanto da far scrivere all’autore che
“la battaglia contro la pedofilia in Italia non si fa. Se ne fa una rappresentazione simbolica….”.

Non solo, in nome del “supremo interesse dei bambini”, proprio molti di essi si affiancano nel ruolo di vittime agli innocenti accusati falsamente, ad esempio essendo privati senza motivo della presenza e della cura genitoriale, in specie di quella paterna.
Uno degli strumenti a cui accennavo sopra è il linguaggio, che volutamente riunisce nell’unico concetto di abuso comportamenti diversi, dalla violenza vera e propria all’esibizionismo ed al voyerismo o agli accudimenti ambigui. Il concetto così dilatato, insieme all’indimostrabile proiezione stastistica degli abusi non denunciati, è quello che permette di offrire all’opinione pubblica numeri stupefacenti, al di là di ogni buon senso e di ogni serio controllo scientifico. Secondo l’associazione Iad Bambini Ancora (dati riferiti durante un convegno milanese a cui fu dato ampio risalto dai media), ad esempio, un ragazzo su sei sarebbe vittima dei pedofili, mentre per ogni fatto accertato ce ne sarebbero cento mai scoperti. Meraviglia allora che una semplice carezza di un padre alla sua bambina venga scambiata per un atto di libidine da un osservatore ossessionato da quei numeri assurdi?
Un altro strumento è la tendenza che opera anche per reati affini (violenza contro le donne), a rovesciare l’onere della prova, per cui non è più l’accusatore a dover dimostrare la colpevolezza dell’imputato, ma questi a dover dimostrare la propria innocenza. Compito spesso impossibile anche perché, in luogo della desueta prova oggettiva, sono stati introdotti i nuovi concetti di prova psicologica e addirittura onirica, per cui da un sogno si deduce financo il nome dell’abusante di molti anni prima e lo si condanna. Come è realmente accaduto nell’aprile 2008 a Bolzano, quando un sacerdote fu condannato a sette anni e sei mesi di reclusione sul solo fondamento di un sogno dell’accusatrice, in cui peraltro egli non compariva affatto ma aveva la sfortuna di chiamarsi con lo stesso nome del bar in cui la ragazza aveva sognato, ripeto sognato, di essere stata abusata.
Naturalmente, come in ogni processo che si rispetti e non essendo il giudice un tuttologo, servono i così detti esperti. Ed ecco allora entrare in scena le varie associzioni antipedofilia (spesso in lotta acutissima fra di loro) che mettono a disposizione, chiavi in mano e dietro lautissimi compensi, tutto quanto è necessario perché l’opera della giustizia arrivi a compimento. Psicologhe, assistenti sociali, avvocati, consulenti legali, strutture di accudimento dei bambini allontanati dalla famiglia. Insomma un vero esercito di soggetti che campano di lotta alla pedofilia, professionisti dell’antibuso in un meccanismo non dissimile a quello messo in piedi dalla fabbrica dei divorzi, ma con ripercussioni ancora più profonde e traumatiche per chi viene coinvolto senza colpa.
A questo punto risparmio al lettore la descrizione dei metodi con cui i piccoli vengono indotti a “confessare” l’abuso e l’abusante, fatti di pressioni psicologiche senza nessun controllo e garanzie scientifiche e giuridiche. Ma ormai non c’è più neanche bisogno che il bambino parli. Dalla letture delle perizie che l’autore, criminologo di professione, ha fatto e che costituiscono l’unica fonte di prova a cui il giudice si riferisce, emergono infatti stupefacenti contraddizioni e vere falsità scientifiche di cui i periti non saranno mai chiamati a rispondere. Scrive Steffenoni:

“Il bambino accusa l’adulto? Dunque è stato abusato. Non lo accusa? Ha paura, vuole difenderlo, vuole rimuovere l’abuso. Non ricorda gli eventi e si contraddice? Normale, dimenticanze da shock per il trauma subito. Ricorda meticolosicamente ogni particolare, tanto da far sospettare che sia stato ‘preparato’ un po’ troppo? I fatti d’abuso si fissano nel profondo della psiche e riemergono con precisione se sollecitati. Non sa che cosa dire e si chiude in un assoluto mutismo? E’ stato minacciato”.

Potrei continuare ancora, ad esempio con la perizia di una nota consulente la quale, posta di fronte al fatto che la bimba violentata non portava alcun segno del fatto, si è spinta a sostenere, in barba a qualunque evidenza scientifica e medica, che l’imene “si può riformare”. Mi fermo qui perchè il concetto è chiarissimo, ormai. Chi ha la sfortuna di entrare nelle maglie di questa giustizia ha ben poche possibilità di uscirne indenne. Neanche colui che ha la fortuna di essere sostenuto dalla famiglia. Perché se la moglie di un imputato osa difenderlo, anche a lei verranno portati via i figli con semplice provvedimento amministrativo di insufficienza genitoriale. Il cerchio così si chiude definitivamente intorno al malcapitato. Unica “consolazione”, in quest’ultimo caso, è che di mogli che difendono il marito ce ne sono poche. Anzi, le mogli col dente avvelenato sono le più spietate accusatrici dei propri ex, ed usano la clava dell’accusa di abuso sui figli come arma finale per annientare il marito. Non importa che l’80 e oltre % delle accuse si rivelino false e inventate a tavolino. Lo scopo di ridurre il padre al silenzio e ottenere l’affido esclusivo è ampiamente raggiunto. Che importa aver distrutto la vita di un uomo? Che importa aver sottratto il padre al figlio con le conseguenze negative ormai ben note? A nulla vale anche il fatto di essere assolti, perché in questo sistema perverso il processo per abuso marcia su altri binari rispetto ai provvedimenti dei tribunali dei minori, come fossero compartimenti stagni, e accade quasi sempre che il padre, perché essenzialmente di padri stiamo parlando, possa riunirsi ai figli solo quando questi diventano maggiorenni. Prima dell’assoluzione infatti è molto probabile che il suddetto tribunale abbia già dichiarato l’affidabilità per i bambini, o che, su pressione e preciso interesse economico delle Associazioni Antipedofili, si preferisca che i bambini continuino a vivere nelle strutture “protette” gentilmente messe a disposizione dalle stesse associazioni.
Il libro è ricchissimo di dati, episodi, analisi puntuali del funzionamento del congegno della fabbricazione del colpevole.
Emerge dunque una verità inquietante che va anche oltre il fenomeno dell’abuso sui minori.
Verità che si svela se prestiamo attenzione ad alcune analogie.
L’uso dell’inversione dell’onere della prova è in vigore anche nei processi per molestia (o per violenza) sulle donne, reiterato e acuito dalla recente legge sullo stalking. Mentre nel caso della pedofilia il marchingegno, trattandosi di bambini, necessita almeno del filtro della psicologa che, se fosse usato correttamente e senza pregiudizi, potrebbe costituire un indispensabile aiuto per la formazione di un giudizio sereno e giuridicamente fondato, nell’altro caso basta la percezione femminile di essere molestata, anche il semplice non gradimento di un complimento, per far scattare i provvedimenti giudiziari. La prova oggettiva, l’esistenza di elementi reali e riscontrabili del reato, passano in secondo piano e l’imputato si trova, anche qui, nell’impossibile situazione di dover dimostrare la propria innocenza. Impossibile perché non esiste più un parametro a cui riferirsi che non sia l’altrui percezione di essere stata abusata.
Non è un caso che molte delle associazioni sorte con lo scopo di per sé sacrosanto di arginare la violenza sui bambini si occupino contemporaneamente di violenza contro le donne. Nulla da obbiettare ovviamente, se non per il fatto che abusi e molestie andrebbero indagati a tutto campo e non partendo dal presupposto che siano solo i maschi a commetterli. L’associazione fiorentina Artemisia, protagonista di uno degli episodi narrati nel libro, ad esempio, recentemente ha aperto uno sportello per “uomini maltrattanti”, definizione che comprende anche comportamenti che ogni persona onesta e dotata di buon senso sa benissimo essere reciproci nella vita di coppie problematiche.
Anche qui, come nei tribunali, la ricerca della verità è subordinata e distorta dall’assioma ideologico di partenza: la sessualità maschile è perversa, dunque è compito di ogni singolo maschio dimostrare che per lui l’assioma non vale e che si discosta in qualche modo dalla norma. Ne risulta che in realtà sul banco degl’imputati non siede il singolo uomo. Quello che va in scena è il processo all’intero genere maschile dove le parti sono assegnate in partenza, come bene fa risaltare il passo che ho riportato all’inizio.

[06 novembre 2009]