Il mio miglior nemico
di Carlo Verdone
con Carlo Verdone, Silvio Muccino, Ana Caterina Morariu
Italia 2006
recensione a cura di A. Ermini
Non traggano in inganno il lieto fine o le situazioni comiche della commedia. Quando il regista si chiama Verdone è quasi inevitabile, ma è un merito se riesce, ridendo, a far pensare. In realtà il film ci parla di due pezzi di società molto diversi, per posizione sociale, interessi, consumi etc, accomunate però dall’assenza, fisica o anche solo psicologica, del padre; e ci parla della necessità, del desiderio, del bisogno dei figli di averlo, un padre che faccia il suo mestiere, con tanti saluti agli ideologhi zapateriani del “diritto” delle madri single, delle adozioni gay, della fecondazione in vitro e quant’altro. Un padre, beninteso, non da cartolina, irreprensibile e senza difetti; un padre reale, coi problemi, le incertezze, gli errori, i “peccati” degli esseri umani, ma che ci sia, affettivamente e come guida, perché alla fine, come i padri perdonano i figli anche i figli sanno fare lo stesso coi padri.
Orfeo è un giovane che il padre non l’ha mai conosciuto, sparito prima che nascesse e ora lontano, e per il quale ostenta apparente indifferenza. Ed ora si trova a far lui quasi da padre a sua madre, che si “ciba” di psicofarmaci e di improbabili sogni di entrare nel mondo dello spettacolo. Nel frattempo lavora in un albergo di lusso, come addetta alle camere.
Achille è il dirigente di quell’albergo. Di estrazione sottoproletaria, ha fatto “carriera” sposando la rampolla di una ricca famiglia di albergatori, nel frattempo trescando con la giovane moglie del cognato, il capo effettivo della catena. Ha una figlia, Cecilia, a cui non manca nulla, tranne….tutto. Grazia e femminilità, viaggi, scuole esclusive in Inghilterra, talento di scrittrice, amicizie, ma si sente spaesata. Vorrebbe un padre vicino, una vita regolare, scandita anche da regole ed orari.
Le loro vite si intrecciano quando Achille licenzia la madre di Orfeo con l’accusa di furto. Il ragazzo, che nel frattempo si è casualmente innamorato, senza sapere chi fosse, di Cecilia, decide di vendicarsi spietatamente. Venuto a conoscenza della tresca, fa saltare il banco durante la festa per le nozze d’argento di Achille, ma contemporaneamente si rende anche conto, con disperazione, che la ragazza di cui è invaghito è la figlia del suo nemico. Inutile dire che la situazione precipita. Achille perde lavoro, famiglia e soldi, Orfeo l’amata ragazza, che scompare non si sa dove.
Qui inizia l’avventura dei due uomini alla ricerca di Cecilia, che non vogliono perdere come figlia e come fidanzata. Un viaggio lungo le labili tracce lasciata dalla ragazza, dapprima assieme e poi separati, nel quale, allorché tutto sembra perduto, inizia la risalita.
Dapprima, quando trovandosi casualmente nei luoghi dove il padre naturale di Orfeo si è “rifatto” una vita, il giovane entra clandestinamente nella sua villa attratto irresistibilmente dalla curiosità di conoscerlo, e si becca una denuncia per violazione di domicilio. Achille, allora, si inventa padre del ragazzo, se lo va a riprendere in questura e per la prima volta in vita sua esercita davvero il ruolo di genitore, severo fino alla sberla ma affettuoso, con sorprendenti effetti su Orfeo, che mai aveva percepito una presenza così forte nella sua vita.
Infine, quando il giovane ritrova Cecilia e la riporta dal padre, nel frattempo volato fino ad Istambul per cercarla, Orfeo ha un gesto simbolico di grande importanza. Lascia, prima di presentarsi lui stesso alla presenza del “nemico”, che padre e figlia si ritrovino e si riconcilino, a significare che è attraverso il rapporto positivo col padre che passa la possibilità per la figlia di costruire una relazione d’amore con un uomo.
Altrettanto significative le parole finali di Orfeo, che spera e si augura di aver finalmente trovato una famiglia vera, che non può esistere, evidentemente, se si prescinde dal padre.
[06 luglio 2006]