Il segreto di Vera Drake
Di Mike Leigh
Leone d’Oro al festival di Venezia 2004
Un film sull’aborto, è stato detto. Secondo me, no! E’ un film che parla di tante cose “intorno”, ma non dell’aborto in se.
Parla della legge che lo proibiva, della differenza fra ricchi e poveri, dei pericoli della clandestinità e così via…. ma si ferma sempre prima di entrare nel merito.
Ed è tutto un po’ troppo perfetto. Il contorno familiare di Vera Drake: un marito premuroso e riconoscente, un figlio laborioso, una figlia con problemi psichici accolta con serenità. Un parentado senza grandi problemi, poliziotti e istituzioni carcerarie rispettosi e quasi premurosi.
Ma soprattutto Vera. Un angelo della bontà, sempre sorridente. Non ricca ma molto serena, sia quando lavora come domestica, sia quando presta le sue cure gratuite ai conoscenti e ancora di più quando aiuta le donne in “difficoltà”, come dice lei anticipando di qualche decennio il linguaggio politically correct; ossia quando le aiuta ad abortire, sempre con metodi non invasivi.
Vera non vuole soldi per le sue “cure”, e non chiede mai il perché. Una donna vuole disfarsi del figlio (stupro, errore, noncuranza, non fa differenza) e lei è pronta. Lo fa veramente per bontà, anche se sa di infrangere la legge e non parla al marito di questa attività collaterale. L’aborto, si sa, è cosa di donne. Gli uomini, mariti, fidanzati, amanti, o se ne fregano o non vengono comunque messi al corrente. I figli, evidentemente, non li riguardano se non dopo nati.
La crisi scoppia quando una ragazza da lei curata si sente male e rischia la morte, con conseguente inchiesta e condanna della donna per procurato aborto.
E’ in quel momento , nonostante la famiglia la circondi ancora del suo affetto, che Vera sprofonda nello sconforto. Non riesce proprio a capire il perché la sua bontà sia punita. E con lei, anche gli spettatori sono indotti a non capire, o meglio a capire che l’unico problema dell’aborto stia nelle leggi “proibizioniste”. Abolite quelle, sembra dire il regista, tutto potrebbe continuare a scorrere nella quotidianità della vita, coi suoi “normali” inghippi che una sanità “democratica” potrebbe risolvere facilmente.
E invece no. Il collasso psichico di Vera, la sua inconsapevolezza, a mio giudizio, sono anche il collasso e l’inconsapevolezza del film. In lei, così come nelle donne che a lei si rivolgono, manca ogni dimensione tragica nella scelta abortiva. Tutte le ansie, le preoccupazioni, sono di ordine pratico. La paura fisica per l’intervento, il giudizio sociale, il problema dei soldi , nascondere il tradimento ad un marito lontano, oppure il semplice sconvolgimento emotivo provocato da un figlio non voluto. Tutte cose vere, reali, comprensibili.
Ma non una sola parola di pietà per il bambino soppresso, o un solo accenno al trauma psichico nella donna che compie questa scelta, come se fossero problemi inesistenti. Un modo, in sostanza, per derubricare il tema aborto banalizzandolo in una semplice faccenda legislativa , e per depotenziarne le implicazioni etiche e morali.
A. Ermini