Grande Madre terribile, branco e stupro etnico

Sul numero di Panorama del 26 novembre 2002 Adriano Sofri, in un pezzo dal titolo “Pauline, la regina del machete”, ripercorre la vicenda del massacro del popolo Tutsi ad opera degli Hutu, in Ruanda, intorno alla metà degli anni novanta.

L’occasione gli è data dal processo in corso in Tanzania contro i responsabili di quei massacri in cui morirono fra 500.000 ed 1.000.000 di persone. Fra gli imputati c’è una donna, Pauline Nyiramasunhuko, allora ministro della “Famiglia e della promozione femminile”, accusata di genocidio e di stupro come crimine contro l’umanità. Pauline era a capo degli squadroni della morte , autonominati “Interahamwe”, il branco, che, oltre all’assassinio indiscriminato di uomini, donne e bambini, praticavano con sistematicità lo stupro di massa, di cui, secondo dati ONU, furono vittime 250.000 donne. Il suo ruolo era quello di sovrintendere alle azioni degli squadristi, fra cui suo figlio, e di incitarli esplicitamente allo stupro, col pretesto che le donne tutsi erano orgogliose e seduttrici. Sofri, con l’onestà intellettuale che lo distingue, così conclude il suo articolo: “Pauline . . . . .infrange l’idea che le donne non abbiano a che fare con questo orrore. Idea che è a sua volta un pregiudizio: ma uno di quelli che sarebbe stato bello tenersi”.
Nell’ultima frase è bene espressa e condensata l’ amarezza per la caduta dell’illusione tipica dell’Occidente secolarizzato, che, per non cadere nel vuoto del nichilismo, ha bisogno di vedere incarnata l’idea del bene , dell’innocenza e della verità , in una entità terrena, concreta e visibile. Ieri il proletariato, oggi il genere femminile, il cui lato oscuro ostinatamente si rimuove o si attribuisce alla nefasta influenza maschile. Se quei fatti non fossero cronaca documentata, potrebbero tranquillamente essere letti come quelle leggende mitologiche a cui spesso i maschiselvatici si riferiscono, e di cui in effetti ci sono tutti gli ingredienti.
La Grande Madre terribile, signora della vita e della morte. La negazione e la soppressione della femminilità. Il lato istintivo violento e distruttivo del maschile.
Quei fatti ci insegnano molte cose, come d’ altra parte le narrazioni mitologiche. Ci insegnano che l’archetipo della Grande Madre terribile, divoratrice della vita, è un aspetto del femminile che esiste e può riemergere in ogni momento. Ci insegnano che una maschilità che non sappia elevarsi dallo stadio della pura fallicità ctonia/istintuale e conquistare la luce della coscienza integrandovi gli istinti violenti, è destinata, sempre, a rimanere uno strumento subordinato al servizio della GrandeMadre. Tali erano i Giganti ed i Titani, o, nel mito babilonese della creazione del mondo, gli eserciti mostruosi della grande Dea Tiamat (destinata ad essere sconfitta dall’eroico Dio Marduk), ed alla cui testa ella aveva posto il marito Qingu. Ci insegnano infine che senza l’ autonomia del maschile dalla Grande Madre, anche il lato luminoso e verginale del femminile è destinato a soccombere, a non emergere o essere distrutto.
In termini certamente meno drammatici, ma non per questo meno profondi, è quello che sta accadendo anche nei nostri paesi. Penso all’onnipotenza femminile che si attribuisce il diritto di sopprimere la vita di un figlio, dentro o fuori di sé. Penso alla falsa dimostrazione di forza e di potenza degli stupri, o alla miseria di quei maschi che non sanno e vogliono assumersi le proprie responsabilità di padri, penso infine ad un mondo che eliminando in nome della Libertà il Padre e la sua norma si consegna tutto alla signoria materna, illudendosi di trovare vera uguaglianza e giustizia.

Armando