L’aborto fra diritto e omicidio

La faticosa e contraddittoria presa di coscienza di una femminista storica.

Nell'articolo del 6 ottobre su Il Foglio, L'aborto, la morte e le bugie, Naomi Wolf , rappresentate storica del movimento femminista USA, ammette (finalmente!) che abortire è uccidere. Il fatto che l’aborto sia legale non annulla la realtà che si è data la morte ad un altro, ad un bambino che aveva un viso e aveva un corpo. Le donne si dicano la verità, basta bugie, suggerisce la scrittrice.
Si scopre tuttavia che la nuova posizione morale della Wolf è del tutto strumentale: non sono parole dette per salvare il bambino. Infatti la scoperta che abortire è uccidere nasce dalla consapevolezza che il movimento femminista, sostenendo l'insostenibile, e cioè che il feto è nulla, sta perdendo la battaglia in difesa dell'aborto. Dunque, la Wolf parla per salvare il diritto all'aborto. Non potendosi continuare a negare l'evidenza, bisogna trovare una posizione più credibile in sua difesa. E la Wolf si produce nel massimo dell'antinomia possibile: trovare una etica per chi sostiene che sopprimere il feto è un diritto. Ovvero un'etica per l'aborto, l' eticità dell'aborto.
In sintesi, nel suo pensiero, la nascita della consapevolezza morale che abortire è uccidere, si traduce nell’affermazione della necessità di una moralità superiore che lo giustifichi. Di quale moralità si tratta? Quella dell' "eroismo" connesso alla decisione di morte presa in assoluta consapevolezza.
A volte la madre deve essere in grado di decidere che il feto in tutta la sua umanità deve morire.
Ma questa è una caricatura della moralità socratica che identifica l'azione morale, l'azione buona, con l'azione compiuta in piena coscienza. Da cui però nasce l'obbligo di non fare il male, pena il terribile e per Socrate impossibile, fare il male sapendo di fare il male. Aspetto dimenticato dalla scrittrice americana, che intravede invece nella consapevolezza la superiore moralità, la condizione e il percorso di coscienza che rendono etici l'aborto. Ancora una volta, l'ultimo nel gioco della valutazione morale per questa femminista, è la vittima, l'ucciso, il bambino. L' unica preoccupazione è la rivendicazione superomistica, "eroica", del diritto ad uccidere purchè nella consapevolezza. La nota eroica e la moralità superiore consisterebbe nella accettazione della colpa e della espiazione che ne consegue. La Wolf usa il termine ebraico tikkun per indicare il percorso di espiazione. Accettato il tikkun, si può uccidere, si può abortire. E la grandezza è assicurata, come l'assoluzione. Come nel Sisifo di Camus, che nella coscienza dell'inutile terribile espiazione trova la superiore moralità e grandezza, così la Wolf indica al femminismo un nuovo approdo etico all'aborto. Magari con l'aggiunta della convinzione di aver ucciso per il bene superiore dell'ucciso, atto che, conclusione paradossale, può dunque essere persino doveroso. Questa superomistica e terribile rivendicazione della moralità della scelta omicida è pura follia, perché gli uccisi restano tali, qualunque belletto narcisistico chi compie omicidio intenda mettersi sulla faccia.

Cesare

[20 ottobre 2005]