Rubare un bacio
Rubare un bacio costa un anno e due mesi di galera e cinquemila euro di risarcimento danni.
E’ la pena , che la Cassazione ha confermato, inflitta ad un giovane albanese che, a Belluno, ha baciato la ex fidanzata contro la sua volontà, nel tentativo di riconquistarla. Il reato sarebbe quello di violenza sessuale, ma non basta. Nelle motivazioni della sentenza si legge che fra i comportamenti punibili va ricompresso anche il mero sfioramento con le labbra sul viso altrui per dare un bacio, allorché l’atto, per la sua rapidità e insidiosità, sia tale da sovrastare e superare la contraria volontà del soggetto passivo. E poiché per la Cassazione il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali, ma comprende anche quelle ritenute…….erogene, tali da essere sintomatiche di un istinto sessuale, sarà considerata per forza di cose violenza sessuale anche una carezza non gradita sul collo, lo sfioramento di un lobo dell’orecchio e qualsiasi altra azione che la donna stessa, secondo il suo esclusivo capriccio del momento (anzi, anche dopo), dichiarerà non gradita, ossia estorta a forza. Basta la parola (di lei). Non si tratta più, neanche, dell’inversione dell’onere della prova, che già costituisce la fine dello stato di diritto, come nelle peggiori dittature, quando è l’accusato a dover dimostrare la propria innocenza. Perché qui la dimostrazione d’innocenza è resa impossibile. Non esiste un fatto dimostrabile, non esiste un corpo violato, non esiste nulla tranne la dichiarazione di lei, che è presupposta vera. Lo ha ben capito la giornalista dell’edizione mattutina del TG5, che candidamente ha dichiarato (riporto il senso): “ potremo far pagare caro a lui tutto ciò che non ci piace, secondo il nostro umore di giornata”.
Ma è vera gloria? Ne dubito, anzi sono certo del contrario, a parte, forse, per quelle (non) donne rancorose e sessuofobiche che vorrebbero castrare i maschi e che ora possiedono l’arma di annientamento finale. E le altre che già lamentano l’incertezza maschile, immancabilmente attribuita al timore della donna emancipata? Gli stupri, ben altra cosa, non diminuiranno. In compenso, a fronte della possibilità di effimere (ma non per lui) vendette postume, si troveranno al cospetto di uomini ancora più insicuri, che di fronte alla prospettiva di finire in galera non oseranno più.
Il sesso ha in sé un margine di ambiguità, giocato sul non detto di un gesto, sul no che può significare un si, sul rapporto sempre sfumato fra volontà cosciente e desiderio inconscio, come ben sa la psicanalisi, e presuppone una certa aggressività sessuale maschile che non è violenza o prevaricazione, ma iniziativa ed esplorazione dei limiti fino a cui ci si può spingere. Inibito tutto questo, annullato il mistero, rimane solo l’atto meccanico che può essere reso non pericoloso solo da una sua burocratizzazione. Un permesso scritto, data, ora e domande “in progress” con risposte scritte e controfirmate da lei, come accade in certi campus universitari statunitensi e inglesi. Neanche le donne hanno nulla da guadagnare, e lo sanno bene. Non è un caso che la ricerca Istat su “La violenza e i maltrattamenti contro le donne e fuori la famiglia” pubblicata a Febbraio 2007, seppure unilateralmente orientata, riporti questi dati significativi, alla Tavola 8: fra le donne comprese nella fascia d’età 16/70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale, solo il 34,5% ha percepito il fatto come molto grave, mentre il 29,7 come abbastanza, il 21,5 come poco, e il 13,9 come per niente grave.
Ma, e questo è davvero l’importante, solo il 18,2% lo considera come un reato, mentre il 44% “come qualcosa di sbagliato ma non un reato”, ed il 36% “solamente qualcosa che è accaduto”.
Le motivazioni di questa sentenza sono solo l’ultimo atto di una forzatura ideologica che trovò la sua prima applicazione molti anni or sono. I meno giovani ricorderanno la vicenda dell’allora dirigente del Movimento Studentesco della Statale di Milano, Popi Saracino, condannato per un rapporto con una giovane allieva (maggiorenne), che solo dopo credette di percepire una forma di costrizione psicologica e lo denunciò per violenza sessuale. Qualche anno dopo, nel 1990, Marco Bellocchio fece di quell’espisodio il canovaccio per un suo film “La condanna”, nel quale cercava di indagare i sottili confini psicologici del sesso, fra la forzatura che porta allo scoperto il desiderio inespresso e la vera e propria violenza psichica.
Quando la legge si impossessa di una materia così complessa non può che portare all’inibizione del desiderio maschile, ed al disastro per tutti.
Ma a mio parere c’è anche di più. Foucault scriveva del “biopotere” moderno come presa sul corpo per gestirlo e controllare la sua valenza anarchica e di libertà, attraverso procedimenti burocratici ed amministrativi. Anche questa vicenda ne fa parte, insieme alla pretesa di fabbricare la vita artificialmente, insieme alla spinta inarrestabile a selezionare la specie umana per “migliorarla” , democraticamente s’intende, attraverso l’eliminazione degli embrioni meno buoni o l’aborto “volontario” dei feti imperfetti. E mi sembra anche che “l’agente” preferito attraverso cui il biopotere si propone di raggiungere i suoi scopi siano le donne, per lo stretto rapporto che ha il loro corpo con le questioni legate alla vita (ed al sesso). Lo fa in nome della loro libertà e della loro tutela, sembra offrire loro un potere quasi infinito, ma in realtà le inganna tragicamente e le imprigiona come gli uomini, seppure in modo diverso. Ci sarebbe molto da riflettere, se solo si avesse la volontà di guardare oltre il velo “dell’autodeterminazione” e della “libertà”.
Armando Ermini
[29 marzo 2007]