Il Manifesto ed il padre, una storia esemplare

di Paolo Ferliga

Questa storia è iniziata sei mesi fa, quando letto l’articolo di Maurizio Galvani dal titolo Ex mariti uxoricidi (il manifesto, 22 ottobre 2002) decisi di scrivere una lettera al direttore per discutere alcune delle tesi sostenute da Galvani. In quella lettera (vedi allegato 1) scrivevo che i casi di uxoricidio citati da Galvani non si potevano spiegare ricorrendo alla semplificazione per cui l’uomo, convinto di possedere la donna, quando questa lo lascia esce talvolta fuori di senno e la uccide. Sostenevo invece che la questione è più complessa, essendo spesso in gioco nella fine di un rapporto coniugale la disperazione che nasce dalla perdita della persona amata e, nei casi in questione, dalla perdita dei figli assegnati alla madre.
Dato che la mia lettera non usciva, ne scrissi un’altra e poi iniziai a telefonare al giornale per chiedere le ragioni del loro silenzio. Con stupore scoprii che sull’argomento erano giunte in redazione una quindicina di lettere, che la redazione aveva pensato di farne una mezza pagina, ma che era ormai passato troppo tempo e quindi…non se ne faceva nulla. Solo dopo aver scritto a Valentino Parlato, venni contattato da Barenghi a cui proposi di pubblicare un articolo sulla questione maschile. (vedi allegato 2 ). Dopo un mese seppi dalla giornalista a cui l’articolo era stato affidato che non poteva essere pubblicato perché contrario alla linea editoriale ed alle posizioni politiche del manifesto. Testardo, scrissi un’ultima volta a Barenghi una lettera di cui riporto tre passaggi:

Quando ero giovane, dai grandi (Pintor, Rossanda, Parlato, Castellina, Magri) del manifesto ho imparato molte cose, tra le quali che il metodo e la sostanza coincidono, che il personale è politico e viceversa. Dal movimento femminista ho imparato che dell’identità di genere deve parlare innanzitutto chi ne è il portatore.

Vedo che oggi al manifesto queste cose si sono dimenticate.”

“Le due questioni che mi stanno a cuore sono l’assenza del padre nella società contemporanea e la presenza oggi in Italia di un movimento identitario maschile. Su queste questioni Claudio Risé ha scritto libri importanti a cui si ispirano molti dei movimenti maschili presenti oggi in Italia.

Mi sembra miope da parte del manifesto, che rende conto di tutti i movimenti, trascurare del tutto la presenza dei movimenti degli uomini. Miope dal punto di vista dell’informazione (basti pensare che il sito www.maschiselvatici.it fa più di diecimila accessi al mese) e miope dal punto di vista politico.”

Le questioni che hanno a che fare con l’identità di genere devono essere affrontate innanzi tutto da chi è portatore di quel genere. Fino a quando i maschi del manifesto delegheranno solo alle donne la discussione di questi temi, il che per gli uomini è spesso molto comodo, ne uscirà sempre un punto di vista parziale e incompleto.”

Cocludevo dicendo: “ A conti fatti resta il fatto grave che se un lettore scrive una lettera su una questione posta dal giornale, poi scopre che in redazione sono pervenute altre quindici lettere e si vorrebbe farne una mezza pagina, poi si sente proporre di scrivere un articolo, poi, poi, poi…non se ne fa nulla, resta l’odore e il sapore amaro della censura.”

Barenghi mi rispose che era dispiaciuto, ma poi …non se ne fece più nulla!
Ho riassunto brevemente questa vicenda perché penso che stia a cuore a molti che il manifesto non continui a presentare la questione maschile in un’ottica ideologica che distorce quasi sempre le posizioni affettive e psicologiche degli uomini.

Al Manifesto

Caro direttore

con riferimento all’articolo di Maurizio Galvani dal titolo Ex mariti uxoricidi (il manifesto 22 ottobre ) vorrei esprimere il mio dissenso rispetto ad una interpretazione delle “tragiche vicende di queste settimane” che dietro un “linguaggio scientifico” (che utilizza categorie come Sé narcisistico, tutte da discutere) esprime alcuni luoghi comuni che sarebbe ora di veder messi in discussione anche sul manifesto. Come spesso accade in questi casi per Galvani l’unico imputato è il maschio “che non accetta di perdere il controllo sulla sessualità femminile”. Ma questo controllo, ammesso che mai ci sia stato (parlerei piuttosto di una disposizione sui corpi) ormai non c’è più. Comunque la questione centrale non riguarda il controllo, ma l’amore e la sofferenza che ne deriva quando finisce o viene tradito. Riducendo Eros a una questione di controllo, di testa, Galvani vede un uomo colpito da “sconforto” perché “tradito dalla persona che lui considera amata” al posto di un uomo disperato, che soffre per la perdita della donna che lui ama. Certo nella disperazione di tanti uomini è in gioco anche una fragilità maschile che teme l’abbandono e la solitudine e questa fragilità riguarda anche chi riveste un ruolo che ha a che fare con la gestione dell’autorità. (Ma perché parlare di “struttura o ruolo socialmente autoritario per un colonnello della finanza?”). Questa disperazione non riguarda la perdita di “un’immagine di possesso” o di “tutto quello che finora lui ha pensato gli appartenesse. Moglie e figli compresi”. Non si tratta di possesso e tanto meno di pensare. Piuttosto si tratta di relazioni, di amore e di vita. Per questo quando amore viene distrutto ne va anche della vita. E non c’è solo l’amore dell’uomo per la donna, ma anche quello del padre per i figli. Chiedo più attenzione per il dolore del padre quando viene separato (qui si annidano forti pressioni sociali e culturali) dai suoi figli. Non ho mai letto verbali dei carabinieri su procedimenti di affidamento o separazione, ma come insegnante e psicoterapeuta mi trovo spesso davanti a padri che esprimono il loro dolore per una separazione dai figli che spesso non hanno scelto. Di questo non ho mai visto nulla sul manifesto, a cui sono abbonato da decenni e che leggo dal primo numero…. Devo invece constatare che parole autentiche e tragicamente vere su questa questione le ho trovate su “il giornale” del 17 ottobre nell’articolo di Claudio Risé intitolato “L’ultimo ciack dell’assassino”.

Cari saluti - Brescia 23 ottobre 2002

Paolo Ferliga

 


 

La questione maschile

Sull’Avvenire del 9 gennaio Luca Gallesi riprende il grido d’allarme lanciato dall’ Washington Times: “Il pregiudizio antimaschile compromette la stabilità delle famiglie statunitensi che si rivolgono ai servizi sociali”. Secondo una recente ricerca infatti, “tutti gli articoli usciti negli ultimi dieci anni sulle riviste specializzate nel settore dell’assistenza sociale prendono in considerazione solo padri assenti o devianti, oppure omosessuali.” Dal campione d’indagine resta cioè esclusa “ la stragrande maggioranza dei maschi, che sono invece assolutamente "normali", e che si rivolgono ai servizi sociali per affrontare problemi totalmente ignorati dalla letteratura scientifica come i turbamenti dell'adolescenza, le responsabilità della paternità, gli equilibri del matrimonio, le incertezze legate al posto di lavoro o le fragilità della vecchiaia.” Lo stereotipo così creato orienta in modo preoccupante l’intervento degli assistenti sociali che sono portati a vedere, in tutte le coppie, l’uomo come il problema e la donna come la soluzione. Un altro grido dall’arme arriva dal sito della femminista radicale Wendy McElroy (www.ifeminists.com) che con un intervento di Rachel Alexander denuncia il muro di gomma eretto contro gli uomini nella questione dell’affido dei figli: spiace dirlo ma, “ per le donne è tutto gratis: soldi, assistenza legale, tribunali a favore.” Spesso il motivo cui i tribunali ricorrono per decidere l’affido è “la violenza domestica” di cui sono ritenuti responsabili sempre e solo gli uomini, anche se diverse ricerche dimostrano che essa è equamente ripartita tra i generi! Il grido d’allarme lanciato dalla Alexander suona così: “E’ un disastro allontanare il figlio dal padre!” Chi opera con i bambini e con i giovani constata quotidianamente i guasti, spesso irreparabili, dell’assenza della figura del padre. Il “Centro studi separazioni e affido minori” pubblica sul sito www.ancoragenitori.it un lungo documento che evidenzia i problemi che la conflittualità tra i coniugi, in caso di separazione e divorzio, provoca nella struttura psichica dei figli. In particolare, dato che nella grande maggioranza dei casi i figli vengono affidati alle madri, è l’allontanamento dal padre a segnarli profondamente con veri e propri disturbi psichici. Non che l’allarme non fosse stato dato da tempo. Da più di un decennio in Usa Robert Bly, poeta e psicoanalista, sottolinea che l’assenza del padre nella società contemporanea costituisce per i giovani un vero e proprio buco nero nel quale rischiano ogni giorno di scomparire. Per diventare uomo infatti ogni giovane deve affrontare delle prove difficili, iniziatiche, che comportano successive identificazioni, separazioni e confronti. In questo percorso per secoli la figura del padre ha fornito ai figli adolescenti “un corpo duro, talvolta esigente, timidamente scherzoso, irriverente, impaziente e amante del silenzio”. Un corpo con cui entrare in sintonia dopo le cure amorevoli ricevute nell’infanzia dal corpo materno. Secondo Bly (Per diventare uomini, Mondatori 1992) i figli a cui è mancata la possibilità di entrare in contatto con questo corpo avranno fame di padre per tutta la vita. E in Italia, già nel 1988 lo psicoanalista junghiano Claudio Risé, con Parsifal,l’iniziazione maschile alla donna e l’amore mostrava come l’assenza del padre rende particolarmente difficile per un giovane assumersi la propria responsabilità nel mondo e nella storia. Secondo Risé, che su questo tema riprende la riflessione di Freud, con l’assenza del padre viene a mancare per i figli la possibilità di identificarsi nella figura che fa da ponte verso la società. Spesso sono proprio i padri che si sottraggono alla loro responsabilità di iniziatori nella crescita e nella formazione dei figli, come sanno gli insegnanti che durante i colloqui incontrano quasi sempre le madri. Oggi però sembra che la questione stia finalmente uscendo dalla ristretta cerchia degli “intellettuali” o degli addetti ai lavori. Attorno ad essa e più in generale alla questione maschile sono nati gruppi di uomini che aprono siti, organizzano liste di discussione in rete, promuovono incontri e campagne di sensibilizzazione. Proprio ad un libro di Claudio Risé, Il maschio selvatico (1992), si ispira un gruppo di uomini (il cui sito www.maschiselvatici.it conta ormai quasi 70.000 accessi) che, a partire da un confronto vivo di idee ed esperienze e da un rinnovato rapporto con la natura, pone al centro della sua attività la questione del padre e del maschio nella società contemporanea. Sulla stampa e in televisione si discute del ruolo del padre in relazione ai drammatici fatti che vedono giovani adolescenti compiere crimini efferati. La discussione è però spesso ancora prigioniera di pregiudizi ideologici. A sinistra in particolare ci si sottrae al confronto, come se valorizzare il ruolo del padre volesse dire ricacciare le donne dietro ai fornelli! Riuscire a discuterne al di fuori di stereotipi e pregiudizi è invece oggi una pressante necessità, a meno che non si reputi il padre un inutile ingombro e non si pensi ad una società senza padri come ad una società finalmente più "libera".

Paolo Ferliga

 

Sull’Avvenire del 9 gennaio Luca Gallesi riprende il grido d’allarme lanciato dall’ Washington Times: “Il pregiudizio antimaschile compromette la stabilità delle famiglie statunitensi che si rivolgono ai servizi sociali”. Secondo una recente ricerca infatti, “tutti gli articoli usciti negli ultimi dieci anni sulle riviste specializzate nel settore dell’assistenza sociale prendono in considerazione solo padri assenti o devianti, oppure omosessuali.” Dal campione d’indagine resta cioè esclusa la stragrande maggioranza dei maschi, che sono invece assolutamente "normali", e che si rivolgono ai servizi sociali per affrontare problemi totalmente ignorati dalla letteratura scientifica come i turbamenti dell'adolescenza, le responsabilità della paternità, gli equilibri del matrimonio, le incertezze legate al posto di lavoro o le fragilità della vecchiaia.” Lo stereotipo così creato orienta in modo preoccupante l’intervento degli assistenti sociali che sono portati a vedere, in tutte le coppie, l’uomo come il problema e la donna come la soluzione. Un altro grido dall’arme arriva dal sito della femminista radicale Wendy McElroy (www.ifeminists.com) che con un intervento di Rachel Alexander denuncia il muro di gomma eretto contro gli uomini nella questione dell’affido dei figli: spiace dirlo ma, “ per le donne è tutto gratis: soldi, assistenza legale, tribunali a favore.” Spesso il motivo cui i tribunali ricorrono per decidere l’affido è “la violenza domestica” di cui sono ritenuti responsabili sempre e solo gli uomini, anche se diverse ricerche dimostrano che essa è equamente ripartita tra i generi! Il grido d’allarme lanciato dalla Alexander suona così: “E’ un disastro allontanare il figlio dal padre!” Chi opera con i bambini e con igiovani constata quotidianamente i guasti, spesso irreparabili, dell’assenza della figura del padre. Il “Centro studi separazioni e affido minori” pubblica sul sito www.ancoragenitori.it un lungo documento che evidenzia i problemi che la conflittualità tra i coniugi, in caso di separazione e divorzio, provoca nella struttura psichica dei figli. In particolare, dato che nella grande maggioranza dei casi i figli vengono affidati alle madri, è l’allontanamento dal padre a segnarli profondamente con veri e propri disturbi psichici. Non che l’allarme non fosse stato dato da tempo. Da più di un decennio in Usa Robert Bly, poeta e psicoanalista, sottolinea che l’assenza del padre nella società contemporanea costituisce per i giovani un vero e proprio buco nero nel quale rischiano ogni giorno di scomparire. Per diventare uomo infatti ogni giovane deve affrontare delle prove difficili, iniziatiche, che comportano successive identificazioni, separazioni e confronti. In questo percorso per secoli la figura del padre ha fornito ai figli adolescenti “un corpo duro, talvolta esigente, timidamente scherzoso, irriverente, impaziente e amante del silenzio”. Un corpo con cui entrare in sintonia dopo le cure amorevoli ricevute nell’infanzia dal corpo materno. Secondo Bly (Per diventare uomini, Mondatori 1992) i figli a cui è mancata la possibilità di entrare in contatto con questo corpo avranno fame di padre per tutta la vita. E in Italia, già nel 1988 lo psicoanalista junghiano Claudio Risé, con Parsifal,l’iniziazione maschile alla donna e l’amore mostrava come l’assenza del padre rende particolarmente difficile per un giovane assumersi la propria responsabilità nel mondo e nella storia. Secondo Risé, che su questo tema riprende la riflessione di Freud, con l’assenza del padre viene a mancare per i figli la possibilità di identificarsi nella figura che fa da ponte verso la società. Spesso sono proprio i padri che si sottraggono alla loro responsabilità di iniziatori nella crescita e nella formazione dei figli, come sanno gli insegnanti che durante i colloqui incontrano quasi sempre le madri. Oggi però sembra che la questione stia finalmente uscendo dalla ristretta cerchia degli “intellettuali” o degli addetti ai lavori. Attorno ad essa e più in generale alla questione maschile sono nati gruppi di uomini che aprono siti, organizzano liste di discussione in rete, promuovono incontri e campagne di sensibilizzazione. Proprio ad un libro di Claudio Risé, Il maschio selvatico (1992), si ispira un gruppo di uomini (il cui sito www.maschiselvatici.it conta ormai quasi 70.000 accessi) che, a partire da un confronto vivo di idee ed esperienze e da un rinnovato rapporto con la natura, pone al centro della sua attività la questione del padre e del maschio nella società contemporanea. Sulla stampa e in televisione si discute del ruolo del padre in relazione ai drammatici fatti che vedono giovani adolescenti compiere crimini efferati. La discussione è però spesso ancora prigioniera di pregiudizi ideologici. A sinistra in particolare ci si sottrae al confronto, come se valorizzare il ruolo del padre volesse dire ricacciare le donne dietro ai fornelli! Riuscire a discuterne al di fuori di stereotipi e pregiudizi è invece oggi una pressante necessità, a meno che non si reputi il padre un inutile ingombro e non si pensi ad una società senza padri come ad una società finalmente più "libera".

Paolo Ferliga