Maschio assassino, maschio stupratore
Verità e ideologia sul quotidiano Liberazione
Il 18 dicembre 2004, un giovane studente/lavoratore, Antonio M., scrive a Liberazione (il giornale di Rif. Comunista), contestando la linea ultrafemminista del quotidiano, tesa non ad una parità sessuale autentica, ma ad “uno strapotere del vecchio sesso debole”. Il lettore cita titoli e articoli che avvalorano la sua tesi e lamenta che “non si trova spazio né per la violenza psichica ( a volte più importante perché culla di quella fisica), né per denunciare i privilegi delle donne ( assegni di mantenimento, figli a carico etc.) che gli uomini non hanno”. La risposta del direttore, molto secca, è di andare a rileggere gli articoli incriminati, i dati contenuti nei quali darebbero ragione alle scelte editoriali del quotidiano.
Non so se il lettore di Liberazione l’abbia fatto e quali conclusioni ne abbia tratto, ma, per curiosità, l’ho fatto io.
Così ho constatato che sul numero del 24 novembre 2004, la prima pagina (reperibile in internet, sull’archivio del giornale), è per intero occupata da una foto col titolo “MASCHIO ASSASSINO”, coi relativi rimandi alle pagine interne, mentre il 18 dicembre siamo sulla stessa lunghezza d’onda, questa volta col titolone “ LO STUPRATORE IN CASA”.
Lo scopo degli articoli è evidente e dichiarato: veicolare il concetto che il genere maschile è intrinsecamente criminale, violento e stupratore, e che quello femminile ne è la vittima predestinata e innocente.
La tecnica con cui i pezzi sono costruiti è quella di cui abbiamo scritto altre volte sul sito e già bene evidenziata da Elisabeth Badinter in “La strada degli errori” (Feltrinelli 2004), che consiste, a) Nell’allargamento all’infinito del concetto di stupro e violenza fino a ricomprendere in esso cose molto diverse, dalla molestia verbale allo stupro vero e proprio. b) Nel considerare “violenza” non un fatto oggettivo e verificabile, che abbia prodotto danni, ma la semplice percezione di non gradimento che la donna ha del comportamento maschile, qualsiasi esso sia. c) Nell’affastellare numeri e statistiche di fatti molto diversi fra loro, in genere senza mai offrire una possibilità di verifica e alle volte senza nemmeno citare le fonti, mescolandoli in modo arbitrario con esempi di singoli eventi che, ancorchè gravi, non hanno rilevanza statistica.
Quello che importa è scagliare la pietra, colpire l’immaginazione del lettore, contando sul fatto che nessuno si prenderà la briga di andare ad approfondire o verificare, e che quei numeri e quelle percentuali sono assunti come senz’altro veri. Ma andiamo per ordine a partire dal concetto di violenza.
Nel numero del 24 novembre, a pag. 12 leggiamo che, secondo la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993 è da ritenersi abuso “qualunque atto di violenza sessista che produca , o possa produrre, danno i sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata”. Ci sono già tutti gli elementi (non necessità che il danno sia effettivamente prodotto, soggettività della percezione) che saranno poi interamente ripresi nel 2002 dal Parlamento Europeo, auspice la ex commissaria per l’occupazione gli affari sociali Anna Diamantopoulou, che vara una legge contro la molestia sessuale così definita: “Un comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, che tenti di recare oltraggio alla dignità della persona, creando una situazione intimidatoria, ostile, degradante, umiliante e offensiva”. Non siamo molto distanti da ciò che accade in Usa, all’università di Princeton, dove è considerata molestia sessuale “qualunque attenzione sessuale non desiderata che susciti un senso di malessere, o sia causa di problemi nella scuola. Nei luoghi di lavoro, o nelle relazioni sociali”. Il concetto è dilatato in modo tale che praticamente nessun uomo, nel rapporto con una donna, può ritenersi al riparo dall’accusa di molestia e abuso, a meno che non chieda un permesso preventivo e scritto per le parole che intendesse rivolgerle, o gli atti che vorrebbe compiere, quali che siano e compreso un invito a cena o l’invio di un mazzo di fiori, evento per il quale recentemente la magistratura italiana ha condannato un malcapitato. Non solo. Definizioni come queste fanno si che nell’immaginario e non solo, vengano assimilate allo stupro cose affatto diverse, come la molestia sessuale, che lo psichiatra Samuel Lepastier considera “l’equivalente di uno stupro in cui la prepotenza morale sostituisce quella fisica”, e la prostituzione volontaria, nella quale, secondo il francese “Collettivo femminista contro lo stupro, ”vi è la stessa appropriazione del corpo delle donne da parte degli uomini”.
Le conseguenze di tutto ciò non solo attengono alla perdita di ogni naturalità nel rapporto con l’altro sesso, ma hanno implicazioni enormi sulla psiche maschile (paralizzandola nell’incertezza di cui si lamentano anche tante donne), e sul piano del diritto, laddove è invertito il fondamentale principio dell’onere della prova, che ora spetta all’accusato e non più all’accusatore (in realtà accusatrice), e laddove, fatto ancor più sconvolgente, comportamenti identici di due uomini verso la stessa donna possono essere valutati in modo opposto, come abuso o come corteggiamento, a seconda dell’umore e della percezione di lei. Una vera e propria arma finale.
La riclassificazione del reato di abuso e violenza sessuale da fatto oggettivo e verificabile a fatto soggettivo sembra derivare, segno dei tempi, dall’estremizzazione del concetto di relativismo, secondo il quale non esiste una verità oggettiva, neutra, ancorché distinta dalla verità processuale che comunque ad essa dovrebbe tendere, ma tante verità ugualmente valide, quanti sono i soggetti che se ne fanno portatori. Scrive Luisa Muraro su Noi Donne del dicembre 1999,
“Io sostengo dunque che esiste, alla base stessa dei nostri discorsi e dei nostri saperi, una polemica tra la verità neutra sulle donne e la verità che diventa dicibile da donne.” …………..
un vero salto di paradigma, reso possibile, aggiungo io, dalla scelta di lasciare che la verità si dica per bocca di chi la vive e con le sue parole, salve le necessarie mediazioni. La terminologia "gender" che ha preso piede negli Usa e fuori, a me pare che lavori per l'epistemologia della verità oggettiva e quindi, a parte le buone intenzioni della sua teoriche e sostenitrici, contro la dicibilità del vero da parte delle donne.”
Tesi discutibili, discutibilissime, ed in cui tuttavia si potrebbero individuare tracce di oggettività purchè le si applicassero a tutti, nel senso di ammettere, accanto alla verità dicibile dalle singole donne, una verità dicibile dai maschi o da maschi. E’ un po’ quello che l’amico Rino Dalla Vecchia scrive in “L’altra metà della terra”, quando sostiene che i maschi devono proclamare la loro verità, e perseguire ciò che percepiscono come “bene” per loro stessi.
Ma, ahimè, neanche questo è vero. Prosegue la Muraro: “Le donne sono in posizione per sapere qualcosa che gli uomini non riescono ad articolare in parole sensate. Riguarda il sesso maschile con tutta la sua gamma dei significati che ha questa parola (e che si perde con il "genderismo"). Le donne sanno la sua pochezza, la sua inermia, la sua intermittenza. Del suo sesso l'uomo
ha fatto un dio, ma le donne non ci credono.”
La Muraro finge di ignorare che virilità e maschilità , anche se necessariamente connesse con l’organo sessuale, il fallo, sono altro da questo. Significano l’emersione della coscienza, l’affrancamento dell’umanità dal dominio dell’inconscio collettivo, del materno primordiale rappresentato dalla Grande Madre, e come tali sono principi psichici, archetipi. Quello che lei descrive (il sesso come dio), è un maschile ancora “immaturo”, o come nel nostro caso, un maschile regredito ad uno stadio ctonio, psicologicamente femminile. Solo questo le consente di affermare che le donne sanno dell’uomo cose che lui stesso ignora, e di chiudere, inesorabilmente, il cerchio. Dall’iniziale confutazione del tentativo maschile di una verità neutra, si è arrivati a negare che gli uomini possano esprimere la verità di loro stessi, che solo il sapere femminile è in grado di interpretare. La verità femminile è proclamata come verità unica, universale. Altro che relativismo! E non sia mai che si affacci il sospetto di onnipotenza femminile, perché, e l’ironia si fa sublime, “ la verità delle donne si ispira, non alla volontà di castrare gli uomini, come loro temono troppo spesso, ma proprio all'intelligenza dell'amore.”
Se questo è il quadro “teorico” entro cui gli articoli di Liberazione sono costruiti, andiamo ora a vederne i contenuti specifici, non prima però di sgombrare il campo da sospetti interessati. Non è assolutamente mia intenzione sminuire la gravità dello stupro o della violenza sessuale. Anche se ci sarebbe da discutere, per esempio, sulla recente sentenza della nostra magistratura che considera stupro un rapporto sessuale portato al suo compimento nonostante che la donna avesse ritirato il consenso all’ultimo momento, cioè mentre il rapporto si stava concludendo, io sostengo che una volta accertato, lo stupro va punito secondo legge. Punto e basta.
Quando però dalla condanna del comportamento individuale, si intende passare alla criminalizzazione dell’intero genere maschile, “Maschio assassino”, allora le cose cambiano. Allora il rigore scientifico e statistico è d’obbligo, così come la chiarezza espositiva e la comparazione dei dati. Diventano importanti i metodi d’indagine, la verità e la verificabilità dei dati.. Se così non è , quella affermata è nient’altro che una verità ideologica, e le cifre, i dati, le percentuali, non sono usati per cercare la verità, ma strumentalmente ed in modo disonesto per provare una verità precostituita. Un importante allenatore italiano di football teorizza la tattica del “casino organizzato” con l’obbiettivo di mandare in confusione l’avversario. E’ esattamente l’impressione che si ricava dalla lettura degli articoli di Liberazione.
Le affermazioni che seguono sono alcune fra quelle contenute in due articoli del 24/11 e del 16/12/2004 , dai titoli, rispettivamente “ Donne, la prima causa di morte è la violenza” e “Mezzo milione di donne violentate da amici, fidanzati, mariti”. Ho cercato di raggrupparle per temi omogenei, tralasciando invece la citazione dei casi individuali, di cui i pezzi sono infarciti, in quanto privi di valenza statistica e tesi soltanto a fare impressione. In corsivo i dati e le affermazioni ripresi dai due articoli, sotto i quali ci sono le mie osservazioni.
- Nella popolazione femminile fra 16 e 44 anni, la violenza è la prima causa di morte e di invalidità, un’incidenza superiore a quella del cancro, degli incidenti e delle guerre. I dati sono attribuiti, nel corpo dello stesso pezzo, prima al rapporto annuale di Amnesty, poi ad uno studio della Harward University.
Non sono riuscito a reperire il rapporto di Amnesty e quindi, con la riserva che il dato è altamente improbabile per i paesi occidentali (in Italia, ad es. ci sono ogni anno circa 6000 morti per incidenti stradali e 700 morti per omicidio. Anche se tutti gli assassinati fossero di sesso femminile, ma vedremo che non è così, il dato non regge), assumiamolo pure come vero. Ma cosa ci dice? Nulla, in realtà. Sarebbero significativi se comparati coi dati corrispondenti riguardanti gli uomini, in percentuali ma soprattutto in cifre assolute. Perché, se anche scoprissimo che fra i maschi la morte per violenze individuali fosse inferiore in percentuale a quella femminile, ma superiore in cifra assoluta, vorrebbe dire semplicemente che gli uomini sono soggetti più delle donne al rischio di morte non naturale, ed allora l’accusa che la violenza è sessista cadrebbe. Una cosa è ragionare della violenza che contraddistingue il nostro mondo, di cui quella sessuale è parte, un’altra è ragionare come se il fenomeno colpisse solo o soprattutto le donne. La verità è che i dati che sono riuscito a reperire mostrano inequivocabilmente che non solo le guerre o gli incidenti stradali e sul lavoro, ma anche la violenza individuale uccide molti più maschi che femmine.
Il rischio di subire violenza (compresi gli stupri, esclusi gli omicidi) in USA è di 1,7 volte maggiore per i maschi che per le femmine (fonte U.S. Dep. Justice. Boreau of justice Statistics (anno 1987).
Numero di crimini (omicidi, rapine, aggressioni gravi, esclusi gli stupri) in Usa nel 1990:
1.757.572. Stupri 102.555 (fonte U.S. Dep. Of Justice. Crime in Usa).
E’ facile capire, combinando quei dati, quale genere, e di quanto, sia il più colpito, e non c’è motivo di credere che la situazione ad oggi abbia subito mutamenti sostanziali.
Il fatto è che questi dati non sono pubblicizzati o passano inosservati, quasi che, il sospetto è forte, si avesse maggiore attenzione per la vita femminile rispetto a quella maschile. Personalmente la cosa non mi scandalizza più di tanto. I maschi sono da sempre abituati a rischiare, a mettere in giuoco la propria vita per cause nobili, fra cui anche la protezione delle donne, o abiette. Ma allora si dovrebbe avere il coraggio di dirlo e di includere il genere femminile fra le categorie meritevoli di speciale “ protezione”, il che contraddirebbe però l’assunto dell’assoluta uguaglianza e intercambiabilità.
- Secondo Amnesty il 20% della popolazione femminile mondiale subisce, almeno una volta nella vita, abusi fisici o sessuali. Il dato OMS per gli Usa conferma la percentuale fra il 14% ed il 20%
- In Sud Africa ogni 23 secondi una donna subisce violenza sessuale (fonte non precisata, forse Amnesty)
Servirebbe conoscere anche quanti uomini, nel corso della loro vita, hanno subito abusi fisici, che Amnesty, pur conteggiandoli insieme con quelli sessuali, distingue da questi ultimi. Comunque, ciò che lascia perplessi è la traduzione di queste percentuali, che peraltro non si sa con quale metodo calcolate, in cifre assolute. Poiché nel mondo ci sono circa 6,2 Mld di abitanti, di cui poco più della metà donne, vorrebbe dire che il numero di violentate o abusate sarebbe superiore a 620 milioni. Per quanto riguarda il Sud Africa, una violenza ogni 23 secondi significa circa 1.370.000 violenza sessuali all’anno. Poiché la popolazione di quel paese ammonta a circa 43.500.000 abitanti, di cui possiamo ipotizzare qualcosa più della metà composta da donne, ne deriva che ogni anno circa il 6% di esse sarebbe violentata. In poco più di sedici anni, si arriverebbe alla totalità. Mi chiedo se sono numeri davvero credibili.
- In Italia. 714000 donne fra 14 e 59 anni hanno dichiarato di aver subito uno stupro o un tentativo nella vita (articolo pubblicato il 24 novembre 2004)
- Secondo un’indagine Istat del 2002 compiuta su 60.000 famiglie, nell’ambito della quale sono state intervistate 22000 donne, 520.000 di età compresa fra 14 e 59 anni hanno subito uno stupro o un tentativo di stupro nell’arco della vita. (articolo pubblicato il 16 dicembre 2004)
Qui la contraddizione è evidente. Nell’arco di 20 giorni le donne stuprate, nella identica fascia d’età, sono diminuite di quasi 200.000 unità. Che credibilità possono avere dati così discordanti? E perché le solerti giornaliste non se ne sono accorte? Interessava loro il dato reale o piuttosto un dato qualsiasi purchè eclatante e funzionale alla dimostrazione della loro tesi sul genere maschile assassino?
- Una donna su tre picchiata in Cina, per lo più dal marito(dati Onu)
- In una provincia del Kenia il 42% delle donne ammette di essere picchiata dal marito.
- Secondo il governo di Washington in Usa ogni 15 secondi un uomo picchia una donna, il
che fa 700.000 all’anno.
Per essere esatti il calcolo riferito agli Usa porterebbe le donne annualmente picchiate a oltre 2.100.000 e non alle 700.000 di cui parla l’articolo. Ma ancora una volta si tratta di capire come vengono elaborate queste percentuali e che attendibilità possiedono.
- In Belgio oltre il 50% ha dichiarato di aver subito qualche forma d’abuso da parte del
partner.
- In Italia circa la metà delle donne intervistate dall’Istat nell’inchiesta citata ha dichiarato di aver subito almeno una molestia a sfondo sessuale.
Il dato è impressionante. Solo in Italia, proiettando quella percentuale su scala nazionale, sarebbero oltre 15.000.000 le donne molestate almeno una volta, al che corrispondono altrettanti, o quasi, milioni di maschi molestatori. Ma cosa si intende per molestia? Come sono raccolti quei dati? Come sono fatte le inchieste? Ci può aiutare una donna, la già citata Badinter, che nel suo libro pubblica un estratto del questionario sulla violenza coniugale sottoposto alle donne francesi, in cui si possono leggere domande come queste:
Il vostro compagno ha criticato o svalutato ciò che fate?
Non ha tenuto conto o disprezzato le vostre opinioni?
Ha fatto osservazioni sgradevoli sul vostro fisico? …. E così via sulla stessa falsariga.
Ora, mi sembrano evidenti due cose. Primo, che il concetto di molestia è così esteso da comprendere ormai qualsiasi tipo di dialettica all’interno della coppia. Secondo, che se le stesse domande fossero rivolte ai maschi il risultato sarebbe sorprendente, perché sfido qualsiasi uomo a dire di non essere mai stato criticato dalla propria donna. Ma ai maschi nessuno si rivolge per chiedere se sono stati criticati o svalutati dalla partner, e mi sta bene, purchè si recuperi da tutte le parti un minimo di equilibrio nei giudizi.
Sempre a proposito di ciò che accade fra le mura di casa, cosa su cui gli articoli di Liberazione insistono molto, è istruttivo leggersi il libro di un’altra donna, Erin Pizzey, “The emotional terrorist & the violence-prone”, che sfata il luogo comune che la violenza domestica sia solo maschile, e che le donne siano “innocenti”. Statistiche ufficiali tedesche, d’altra parte, sostengono che il 10% delle violenza fra le mura domestiche è operato dalle donne contro i loro compagni.
- In Italia 64% delle vittime di omicidio è donna.
Si tratta di un clamoroso falso. E’ vero il contrario. I dati Eures del 2002 dicono che su un totale di 634 omicidi, le vittime maschili sono state 444, pari al 70%, e quelle femminili 190, pari al 30%. I dati ufficiali Usa in mio possesso, riferiti al 1991 riportano percentuali ancora superiori.
- Sempre in Italia, le donne trovano il coraggio di denunciare lo stupro solo nel 10% dei casi.
L’Istat ci dice che nel 2003 le persone denunciate per violenza sessuale sono state 3.092,
pari a circa lo 0,1 per mille dell’intera popolazione femminile. Se anche fosse solo il 10%
del totale, arriveremmo a 30900 circa, ossia all’ 1 per mille.
Sempre troppo, è verissimo, ma non da giustificare i titoli criminalizzanti l’intero genere
maschile, e soprattutto incompatibile col dato di 520000 o 714000 di cui sopra.
Concludo confermando, ancora una volta, che non si tratta di sottovalutare quei dati per sminuire la violenza contro le donne, ma di considerarla nell’ambito del fenomeno complessivo, da cui sono colpiti tanto i maschi (ed in misura maggiore), che le femmine.
Liberazione, al contrario, compie un’operazione ideologica nel momento in cui accredita l’intero genere maschile come criminale, e tratteggia quello femminile come innocente vittima designata.
Per fare ciò, deve però, oltre che usare i dati statistici in modo manipolatorio, anche occultare l’esistenza di una violenza al femminile, da quella storica delle kapò naziste a quella odierna del genocidio in Ruanda o delle kamikaze, ed anche, per stare al quotidiano, quella del bullismo al femminile o delle madri assassine dei propri figli.
Solo così possono fare quei titoli vergognosi. Sarebbe come se noi usassimo il dato che gli infanticidi da parte materna sono aumentati nell’ultimo decennio del 43%, per titolare LA MADRE E’ ASSASSINA.
Armando Ermini
[26 luglio 2005]