Bioetica, le riflessioni interessanti ma contraddittorie di una femminista

a cura di Armando Ermini, per la Redazione del sito www.maschiselvatici.it

Il Foglio del 1 febbraio riporta alcune riflessioni sui temi inerenti il desiderio di maternità ed il rapporto col corpo (che si intrecciano col dibattito sui referendum), di Rosetta Stella, “femminista e studiosa del pensiero della differenza sessuale”. Vediamole.
“C’è - scrive la studiosa – l’ossessione di affermare un controllo totale sul corpo, l’appropriazione un po’ indebita di tutto ciò che fa materia, fino a cercare di dirigerne coi fili la nascita e addirittura di impedirne la morte, alla quale non è più nemmeno pensabile di potersi sottomettere”
“Non si accetta più che ci si possa ammalare, che si possa anche morire, si vuole controllare il corpo completamente, e allo stesso tempo usarlo per ogni battaglia”.
“Il corpo è ottuso a questi meccanismi, ha una sua signoria e resiste, anzi si ribella e tradisce anche il desiderio di maternità laddove lo si vuole governare nel tempo, nello spazio, nelle condizioni, nel codice genetico, nella salute del figlio e del figlio del figlio”.
“Così non sappiamo più dove sta la natura, a furia di manipolarla e di coprirla di maschere: la femmina insegue senza freni il godimento della madre, il maschio cerca la garanzia della discendenza ad ogni costo, e intanto non si sa più dove sia andato a infognarsi il rapporto d’amore fra gli uomini e le donne, privato in ultimo anche del rapporto sessuale, perché i figli si fanno extra corpo e non ci si tocca nemmeno più”.
Lei preferirebbe “una società che non favorisse la corsa senza freni alla maternità e alla manipolazione dei corpi e delle vite”,
anche perché è certa che la crescente medicalizzazione della vita e della maternità non favorisce affatto la libertà femminile: ”Ci si affida al medico come ad un deus ex machina attraverso il quale le donne credono di affermare la libertà femminile e invece la perdono tutta: il corpo viene spappolato e manipolato in un viaggio all’inferno doloroso e umiliante e la procreazione resta senza mistero, è questa la perversione della medicina del desiderio”
Ed ancora sulla natura degli embrioni, sull’uso di cellule staminali nella ricerca scientifica e sulla battaglia di Luca Coscioni: “ Certo che sono vite umane, non è vita arborea né vita di lucertola, e le donne lo sanno”. “E’ in atto una pratica un po’ oscena davanti alla quale arretro e sospendo il giudizio, certo però il corpo viene usato come arma di ricatto: sacrifichiamo quelle vite, gli embrioni, per salvare le nostre..”


Subito un’osservazione, laterale rispetto alla discussione sui temi dei referendum, ma importante. Se si hanno forti dubbi sul sacrificio di vite umane embrionali per salvare quelle adulte, a maggior ragione se ne dovrebbero avere sul sacrificio di vite alla ottava o decima settimana per salvaguardare le svariate esigenze psicologiche o materiali della madre, che per quanto rispettabili siano, difficilmente possono essere paragonate a quelle di chi è affetto da gravissime malattie organiche.
Queste parole di Rosetta Stella, comunque, sono chiarissime ed in tutto condivisibili, a partire dall’affermazione centrale che le donne sanno che l’embrione è una vita umana. Il termine “sanno” è molto significativo perché rimanda non a una conoscenza astratta, scientifica, ma ad una esperienza corporea, istintuale. Ci si aspetterebbe allora che Stella condividesse l’esigenza di istituire limiti chiari entro cui possa legittimamente esercitarsi la libertà di scelta.
Stranamente e a mio avviso illogicamente, invece, Rosetta Stella considera la legge 40 “un’ingerenza dello Stato nelle responsabilità etiche e morali degli individui”. “Si tratta di scegliere, ma non può essere lo Stato a farlo per noi, perché si perderebbe il senso della civiltà nel considerare una società formata da minus habens incapaci di assumersi responsabilità etiche”.
Ma se l’embrione è vita umana, non può dirsi “civile” una società che ne permette la strumentalizzazione , dalla produzione artificiale dei soprannumerari alla loro manipolazione. Una volta violato il principio che la vita (umana) è un fine in sé e non può essere un mezzo per altri scopi, non esiste motivo di pensare che ciò che oggi appare spregevole, fra qualche anno possa apparire altrettanto nobile della cura di malattie gravi. Se l’embrione è vita umana il confronto non è fra etiche diverse, ma fra etica e non etica. E poiché non può esistere una Comunità fondata sulla “non etica”, il problema diventa anche direttamente “politico” e quindi di pertinenza dello Stato.
Se il corpo si ribella alla manipolazione che gli viene imposta, se esiste la perversione della medicina del desiderio, se il corpo femminile è violentato dalle pratiche manipolatorie, se la maternità non può diventare un diritto incondizionato, se ormai non sappiamo più dove sta la natura, ne discende che la Comunità umana ha il dovere di indicare e far rispettare i principi che la fondano, per la sua stessa sopravvivenza e nell’interesse di tutti i suoi componenti, che non sono individui isolati ma si definiscono nelle relazioni reciproche. La libertà di un soggetto si ferma dove inizia la libertà dell’altro, dice un principio classico del liberalismo, e questo pone un limite invalicabile alla trasformazione in diritto assoluto del desiderio, quando va ad intrecciarsi col diritto altrui. Non c’è dubbio, allora, che il diritto dell’embrione di esistere per sé, di vivere e crescere, e quella del bambino di conoscere le proprie origini, pongono limiti invalicabili ai diritti dell’adulto nei suoi confronti, che non possono essere lasciati alle decisioni individuali.
Rosetta Stella sembra ripercorrere la metamorfosi culturale di una parte importante della società italiana. Dalla sottomissione dell’individuo agli interessi della classe o dello Stato, al suo totale disancoraggio da qualsiasi principio comunitario condiviso. O forse, considerata la frattura logica fra le premesse e le conclusioni a cui giunge la studiosa, si tratta soltanto di un riflesso politico “condizionato”, indotto automaticamente dal fatto che la legge 40 è stata varata da una parte politica che le è invisa. In ogni caso l’esito è lo stesso: l’impotenza dell’azione e la certezza che le nobili intenzioni iniziali rimarrebbero lettera morta.

[04 febbraio 2005]