Aborto, luogo dell'annientamento della vita, dell'identità maschile e della paternità
Come è possibile che noi maschi occidentali abbiamo accettato che fosse dichiarata, per legge non esistente, su volontà della donna, la persona chiamata alla vita da un rapporto tra noi e la nostra donna, che fosse dichiarato non esistente il nostro ruolo di concreatori, non esistente il nostro diritto di essere maschi e padri innamorati e compagni di una persona da noi concepita?
Come è possibile che accettiamo di vivere in uno Stato nel quale per legge non è rivendicabile, non è difendibile il rapporto tra noi e il figlio da noi concepito? Non è forse questo il più grave fra gli innumerevoli atti vigliacchi di abdicazione di noi maschi occidentali, abdicazioni che sono a fondamento della nostra sempre maggiore difficoltà a far emergere dal profondo il volto dei padri e dei maschi che ci hanno preceduto, il nostro volto.
Sono volti che affiorano infatti nella stima, nel rispetto e nella considerazione di sé.
Quale stima infatti possiamo avere di noi, avendo concesso alla donna, senza peraltro averne noi il potere, il diritto di uccidere i nostri figli, e come si poteva pensare che questo non si traducesse nella dichiarazione di fatto della nullità del nostro rapporto con la vita, del nostro amore per la vita, della nostra paternità sulla vita?
Senza l' affiorare di questi volti, senza la tenerezza, e la forza, e la giustizia e la consolazione e l'abbandono e la gioia, unica possibile, connessa alla intimità con loro, che cosa potremo mai avere che valga questa rinuncia, chi mai potremo essere che valga la pena di essere?
Siamo diventati i più poveri della Terra, che non sono quelli che non hanno da mangiare o da bere bensì quelli che non hanno nemmeno l'identità, nemmeno cioè la possibilità di dirsi chi è che ha fame e sete.
Di questa estrema povertà dobbiamo renderci consapevoli, di questa ricchezza dobbiamo avere il coraggio di farci mendicanti! Come può non esserci, infatti, nel nostro sguardo sul figlio, fin da subito la
consapevolezza di questa tremenda negazione di noi e del padre e la percezione di una storia affettiva che inizia a partire da un' irrimediabile perdita, da un lutto non elaborabile come quello di un giudizio di morte possibile, e tuttavia non avvenuto, giudizio di morte per opporci al quale nulla avremmo potuto fare, potere insindacabile riconosciuto alla donna, per di più come diritto!
E nostro figlio come guarderà a noi quando saprà che siamo stati nella condizione di imbelli davanti alla sua vita e che il nostro amore non aveva la forza e il potere di chiedere ed ottenere la sua vita se la madre avesse deciso il contrario?
In una bellissima canzone di Eric Clapton si dice "il ponte è spezzato, l'edificio senza fondamento è crollato" e questo perché suo padre se ne è andato da casa, ma noi maschi occidentali, dichiarando res nullius il concepito quale ponte abbiamo spezzato e quali fondamenta abbiamo sbriciolato con criminale leggerezza?Si può essere davvero maschi e padri infatti se si è accettato che il proprio figlio nasca nella condizione di chi è sfuggito ad una decisione di morte connessa a un diritto della nostra donna di ucciderlo?
Quale forza istintiva maschile potremo mai trasmettere a nostro figlio quando ci avvieremo lungo le strade del profondo per realizzare quel tipo di incontro che determina il destino e l'identità? queste sono strade infatti che si possono percorrere con certezze istintive del tutto integre e indivise, e non
latori di missive di grazia dalla morte per interposta persona.
Siamo sicuri che in queste condizioni l'incontro potrà dunque avvenire comunque e nello stesso identico modo? e che nel profondo non finiremo per incontrare ostacoli nuovi e inconsueti per cui al momento dell'incontro non corriamo il rischio di fermarci come cavalli imbizzarriti davanti ad un terrore e ad uno sconforto oscuri e invincibili?
Non è forse sintomatico che fra tutti i luoghi della coscienza maschile questo luogo è oggetto di una rimozione totale? Questo luogo della morte, costruito e promosso proprio da noi, poi festeggiato nelle piazze, poi definito nei testi di legge e poi eletto nelle cliniche e poi imposto nella psiche maschile e femminile e poi scavato nei corpi di donna e poi inflitto alle nuove vite e infine accettato dalla coscienza, questo luogo dove dare la morte, ovvero negare la vita, è un diritto della donna e che chiunque oggi nasca deve attraversare, è davvero senza conseguenze profonde sulla nostra identità maschile? sulla nostra capacità di essere padri?
È credibile pensare questo per un essere che vive di simboli come l'essere umano?
Cesare, Brescia