La guerra /covile

La guerra è costitutiva dell’identità maschile. Anche chi, fortunatamente, non ne ha fatto esperienza diretta, prima o poi si è immaginato nelle vesti del guerriero, tanto che questo, insieme col padre e l’errante, è uno degli archetipi di riferimento del maschio.

Nella guerra, nel combattimento, il maschio sperimenta necessariamente la sua dimensione più arcaica, primordiale, il suo corredo istintuale di aggressività, ma anche di spirito di sacrificio e di generosità spinti all’estremo. Né la retorica guerresca, né quella pacifista e politicamente corretta oggi prevalente, riescono a dar conto dei sentimenti contraddittori degli uomini in guerra e che, in modo assolutamente diverso ma complementare, coinvolgono anche l’altra metà del cielo, come bene evidenzia James Hillman (Un terribile amore per la guerra. Adlephi 2005). Non è un caso che Marte, il dio guerriero animato da furore mistico, fosse amante di Venere, la Dea dell’Amore. In questa rubrica non vogliamo però interessarci dell’atto eroico comunemente inteso, ma di azioni, gesti, pensieri, mediante i quali ricostruire una realtà non più conosciuta che mi piace definire come l’eroismo di chi, maschio, padre, amante normale, non ha dimenticato la sua umanità pur in mezzo alla tragedia. Lo faremo attraverso alcune storie e testimonianze significative raccontate da uomini che hanno vissuto la guerra in prima persona.

Nemico o Uomo?

1. Da Walther Schaumann, La Grande Guerra 1915/18 (Ghedina & Tassotti editori. 1988). La scena si svolge nell’autunno 1917 sull’Altopiano dei Sette Comuni (Asiago), teatro di scontri cruentissimi fra truppe italiane ed austriache. Chi ha visitato dei luoghi sa che sono permeati ancor oggi, a novant’anni da quegli avvenimenti, da sentimenti di sacralità e di dolore che ispirano raccoglimento e silenzio.

Ad ogni minimo segno fa eco sull’altro fronte una breve, ma immediata sparatoria. Di notte la luce dei razzi brilla ad intermittenza su un paesaggio apparentemente deserto e proietta ombre inquiete nel settore opposto. Di quando in quando una raffica di mitra e poi il silenzio. Una notte, all’improvviso, i soldati austriaci odono provenire dalle trincee italiane le lunghe note di una canzone, l’ascoltano; c’è anche qualcosa di tanto familiare. Lì di fronte ci sono dei montanari come loro, alpini di Belluno, la cui terra natia ora è accupata dal nemico. Poi si sente una voce che in buon tedesco chiede informazioni sulla provenienza dei soldati austriaci. “Tirolesi”, risponde la sentinella. “ Nel Tirolo, riprende l’alpino, molti di noi vi hanno lavorato a lungo come muratori. Ora sono mesi che non abbiamo più notizie delle nostre famiglie”. Dopo queste parole, fra i sacchi di sabbia, si vede sporgersi una testa e poi, con un balzo, un Alpino esce dal suo riparo. La sentinella austriaca ed alcuni suoi camerati che avevano assistito al dialogo, escono allo scoperto. Non uno sparo! La pallida luce della luna, quasi adagiata sulle postazioni militari, delinea le oscure sagome dei soldati. “Non potreste far giungere la posta alle nostri mogli, ai nostri figli, giù a Belluno?” chiedono gli Alpini. “Tornate domani, alla stessa ora”, è la risposta dei Kaiserschutzen. Così termina il dialogo e nella trincea italiana si sente ancora, ma per breve tempo un concitato bisbiglio sempre più tenue. Nel settore accanto una violenta raffica di mitragliatrice spazza il terreno circostante. Appena terminato il proprio turno di guardia la sentinella austriaca espone l’accaduto al comandante della compagnia. Questi telefona al Comando di Reggimento. Ognuno sa di correre il rischio di una grave punizione per aver trsgredito il codice di guerra. Il sole cala nuovamente dietro le creste dei monti oltre i quali si estende la Valsugana. Le batterie si scatenano in un fuoco d’interdizione contro le opposte vie di comunicazione; da ambo le parti infatti sono in marcia le colonne dei rincalzi e dei rifornimenti. L’eco delle esplosioni rimbalza fragorosamente da una roccia all’altra e si propaga fino ai monti circostanti. Una rovinosa caduta di sassi è l’ultimo atto di questo fracasso indiavolato. Con i nervi a fior di pelle la sentinella austriaca osserva la trincea italiana dove qualcuno, con estrema cautela, sta spostando un sacco di sabbia. “Le nostre lettere per Belluno sono già scritte, grida una voce ormai nota, ve le portiamo di là, oltre il reticolato”. “D’accordo!” risponde il Kaiserschutzen. A questo punto vengono spostati parecchi sacchi di sabbia; si fanno avanti due, tre Alpini che recano un sacchetto. Spostano alcuni cavalli di frisia e con pochi passi vengono a trovarsi al centro della terra di nessuno. Depongono il loro sacco, si girano e con un balzo scompaiono nella trincea. Due kaiserschutzen saltano fuori dai loro ripari e sollevano il sacco postale. Lì accanto trovano dei pacchetti di sigarette ed alcuni fiaschi di vino; un saluto d’oltre confine. Poco dopo il sacco con le lettere si trova nella caverna del comandante di compagnia. Un soldato è ormai pronto per la …missione. Il comandante del reggimento ha redatto di proprio pugno un foglio di marcia per il corriere diretto a Belluno. Sono già trascorse tre lunghe giornate ed ecco che il soldato ritorna finalmente alla base; ha portato a termine la sua missione senza alcuna difficoltà. Genitori, mogli e bambini, dopo settimane d’attesa e di ansie interminabili, conoscono la sorte dei loro cari. Il soldato, nel cuore della notte, aveva raggiunto segretamente famiglia per famiglia e, consegnate le lettere degli Alpini, aveva atteso le risposte per portarle poi nella postazione. Dopo una giornata di pioggia la nebbia si distende densa lungo i pendii dei monti. Infreddolite e con il bavero dei cappotti rialzato, le sentinelle stanno di guardia ai loro posti. Improvvisamente qualcuno grida agli Alpini: “C’è posta!” “Veniamo!” Ben presto il sacco postale portato dal Kaiserschutzen, si trova al centro della terra di nessuno. In quell’istante la luna fa capolino fra le nubi irrequiete e inonda di luce il desolante paesaggio. Tre Alpini si curvano sul sacco, due lo raccolgono. Da ambo le parti dozzine di occhi seguono la scena. Il terzo Alpino poi si volta in direzione delle trincee austriache, s’irrigidisce sugli attenti e, alzando lentamente la mano destra alla fronte, porge in segno di gratitudine il saluto militare; quel gesto di pochi secondi sembra interminabile tanto è solenne e ai soldati che lo osservano dalle opposte trincee sembra che la sua sagoma, nel magico giuoco del chiarore lunare, si innalzi sempre più in alto, lontana ormai da quel triste teatro di battaglie. Poi una nube scivola sotto la luna e la terra di nessuno è nuovamente deserta come prima. Una sparatoria in lontananza infrange il silenzio e l’incanto di quella notte.