La barba

Correva l’anno 1995. Mio padre giaceva in un letto d’ospedale dove di lì a poco sarebbe morto.
Un giorno, durante l’ora del “passo” meridiano, mi chiese di fargli la barba.

Sul momento restai interdetto. Non c’era mai stata grande familiarità con mio padre. Le differenze generazionali e il periodo tumultuoso del ’68 avevano scavato fra di noi un solco culturale, di idee e modi di pensare. Tantomeno c’era mai stata familiarità a livello corporeo. Da tempo sfuggivo i suoi tentativi di abbraccio. Ne provavo un senso quasi di “fastidio”, pur sforzandomi di non mostrarlo per non offenderlo.
Quella barba, però, gliela feci. Con un rasoio elettrico Philips le cui forme e colori riconoscerei fra mille. Come tutt’ora è vivida nella mia memoria quella scena e le sensazioni che vivevo; il suo corpo stanco e appesantito, il suo spirito fiaccato ma ancora vivido, e quel nodo secco che, mentre gli passavo il rasoio sul volto, mi si scioglieva dentro. L’aveva chiesto non a mia madre, che pure l’assisteva col grande amore e la grande dedizione di cui è capace, non a mia sorella e neanche a mio fratello. L’aveva chiesto a me, al maggiore dei suoi figli maschi!
In quella richiesta, e nell’esaudirla, ci riconoscevamo. Come padre e figlio, come padre che si fa figlio e figlio che si fa padre. Ci riconoscevamo come maschi in un atto maschile, farsi la barba, al di là di ogni differenza di idee. Ci riconoscevamo in un “a priori” maschile, secondo la bella definizione di Franco La Cecla (Modi bruschi. Antropologia del maschio. Bruno Mondadori, 2000).
Molto è cambiato in me da quel giorno. E’come se in quel momento avessi iniziato a vedere mio padre con occhi diversi, e a riconoscere, finalmente, il patrimonio che fin da piccolo mi voleva trasmettere col suo esempio. Non una ideologia, non un’opinione sulla politica, ma un suo modo profondissimo di essere e di attraversare la vita di cui gli sarò grato per sempre.
Potenza di un atto da uomo a uomo, semplice, quasi elementare, eppure capace di accendere una scintilla vitale. Fare la barba! Sarà per questo che non amo i parrucchieri unisex che hanno soppiantato gli antichi barbieri, sarà per questo che ho provato inquietudine quando mi è capitato, una sola volta per fortuna, che i miei capelli fossero “accuditi” da una donna. Sarà per questo che, entrando in un negozio di “coiffeur pour dame” sento un sottile disagio. Non è uno spazio in cui potermi ri-conoscere come maschio. Ed è per queste sensazioni che voglio chiudere riportando un brano del libro che ho citato prima: “E’ così grave se racconto cosa significava per me osservare mio nonno che si faceva la barba? E se dico che questa è stata una delle mie prime maniere di rendermi conto che in me c’era la stessa storia di mascolinità che c’era nel modo che lui aveva di intingere il pennello e di trasformare la sua faccia in una nuvola?”