Morte di Adamo

adamo

 

 di Elena Bono

Microart’s Edizioni S.p.A.

http://www.starfarm.it/LeMani/index.htm

Recensione di Roberto Pelusio

La citazione di Matteo posta in calce alla prima pagina avverte subito: “…non la pace, ma la spada.”.

Il libro apparve luminoso nel 1956, subito osannato come un capolavoro assoluto, ma anche se oggi scorre nascosto e silenzioso come un fiume sotterraneo, pressoché introvabile e lontano dai riflettori della cultura, resta un libro straordinario.

Vi si trovano otto racconti e quasi tutti parlano di vite attraversate dal contatto con Cristo nei giorni della Sua Passione e durante l’iniziale diffondersi della Sua vicenda nel mondo Giudaico e in quello Romano. Ci sono i due discepoli inviati a predisporre la cena ultima del Salvatore (“Piccolo Abi”), il dibattito della famiglia nella casa di Giairo (“La figlia di Giairo”), la notizia della morte di Gesù fra le donne dei pescatori (“La suocera di Pietro”), “Il centurione”, le “Guardie al sepolcro” e il lungo racconto della vedova di Pilato (“La moglie del procuratore”).

I protagonisti sono persone concrete e semplici, l’umanità comune e umile che vive accanto ai grandi nomi e ai grandi eventi della storia.
Cristo non lo si vede direttamente né lo si sente parlare ma è sempre lì, presente, ad attraversare le vicende come una lama che ora tormenta e inquieta (“La suocera di Pietro”, “Guardie al sepolcro” e “Una lettera dalla Giudea”) ora risana e libera, ma sempre rivela le nascoste verità degli uomini.

Anche la parola usata dalla Bono è potente e affilata come poche, identica a se stessa, senza ambiguità o finalità altre. Il risultato è di una grande potenza espressiva, sembra di venire trasportati ai tempi delle vicende raccontate, di vederle e di viverle coi personaggi di straordinario realismo.
E dentro gli eventi raccontati si può veder riflessa la grande vicenda universale.

A me è sembrato che il dramma di perdizione e di salvezza che ogni storia racconta sia anticipato tutto al principio, nel primo breve racconto che dà il titolo al libro.
In questo inizio, come un asse verticale intorno a cui prenda movimento e si sviluppi l’intera vicenda umana, è posta una tematica di paternità e di figliolanza.

Sono parole altissime quelle che qui usa la Bono e provo stendere una traccia.
Nelle profondità più abissali e misteriose del tempo e dello spazio, Adamo padre della stirpe umana, giace nella sua tenda, mentre i figli attendono fuori.
Dentro la tenda, accanto ad Adamo, c’era Eva. E dentro Adamo, Dio.”.
Ecco il luogo e i due attori, siamo all’atto conclusivo della vita di Adamo ma tra lui e Dio c’è, irrisolta, la ribellione. Egli è chiuso alla verità, non parla si nasconde ed è nudo. Insanguinato nell’oscurità giace accanto al corpo del figlio Abele che versa sangue.
Dio lo incalza gridando “Dove sei?”, “Chi ha fatto questo?”, gli rinfaccia l’essersi voluto fare Dio, l’antico peccato, lui che ora versa in quello stato misero e tremante, e gli intima di alzarsi, ma Adamo ricade battendo il capo sul petto di Abele.

Inizia allora il pianto del padre sul corpo del figlio morto, primo di chissà quanti altri che a questo seguiranno nella lunga storia dell’uomo.
Il ricadere del capo di Adamo sul figlio si ripeterà e rivela il legame profondo che lega le loro vite: essi infatti si appartengono, nel figlio il padre si rispecchia come immagine e rivede i suoi stessi errori e le proprie gioie. Ma forse ci vuole anche indicare che Adamo nel rapporto con Dio e con sé stesso non può prescindere dal figlio.

Il dramma scende ancora più nel profondo e una grande angoscia si genera in Adamo. Dio lo guarda e vede le lacrime che si mischiano al sangue del figlio e chiede:
Fino a quando, Adamo, lotterai contro di me perché non renda giustizia?”; “Tu sei l’opera delle mie mani, ed ecco mi stai davanti come polvere, sangue e pianto. Sento il tuo cuore che grida fino a me”.
E’ una giustizia buona questa, che impedisce che si rompa il legame.

Ma Adamo non cede e ribatte: “Perché mi hai creato?”…
Lo Spirito di Dio riguardò in se stesso e disse: «Io volevo contemplarmi nell'opera delle mie mani. Ho creato il cielo e la terra, il fuoco e le acque, ma in te ho posto il soffio della mia bocca, ho esultato nella vastità del tuo cuore. Io venivo a parlare con te solo in tutto l'universo. Tu solo, Adamo, eri la mia somiglianza
».

«Tu mi hai tentato», disse Adamo, «tu, prima che la donna e il serpente. Perché mi hai tentato?».
Adamo lo dice in negativo ma questo punto scopre un segreto nascosto prima ancora che la donna e il serpente, qui l’uomo si rivolge alla sua propria origine. La risposta è un grido con cui si misura ogni impegno e affetto dell’uomo, la libertà:
«Adamo», gridò Dio, «io volevo il tuo spirito in ogni momento dei tempi. Non l'ho preso io, tuo Dio, volevo che tu me lo dessi, in ogni momento dei tempi».

Al colmo del dolore i due tacciono e ripensano ai giardini incantati del paradiso, ai loro colloqui.
Nel silenzio si ode fluire solo il sangue di Abele e con esso il canto che portava con sé: “Ecco il tuo agnello, Dio, pastore dei cieli…”.

Poi Adamo rivide Abele la notte che gli fu ucciso e in lui lampeggiare il volto di Dio, e rivide Caino e alla fine confessò il suo peccato: ”Lo grido innanzi a Te: non volevo uccidere Abele, ma Dio. Ah, perché sei tornato nel figlio dell'uomo?”...
«Ho due figli e nel tuo segno sta la mia vita. Sino alla fine dei giorni sarò Caino e Abele, perseguiterò la tua somiglianza e gioirò dei tuoi ritorni in me, ucciderò e sarò ucciso nel tuo nome. Sino alla fine. E non ho nessuna speranza». Ansimava e il suo cuore si rompeva nell'affanno.

La colpa e la gioia del padre rivivono e sembrano perpetuarsi in una circolarità chiusa in se stessa, dal padre ai figli e dai figli al padre, senza giustizia per il sangue e senza redenzione per le lacrime versate, senza apertura risolutiva e questo sembra portare Adamo alla disperazione.

Ma Dio rompe anche lui il silenzio:
«Adamo», chiamò Dio, «ascolta ciò che dice il Signore. Dio dice: Darò nelle tue mani mio figlio, l'agnello di Dio senza peccato: in Lui la mia somiglianza con te sarà rinnovata per sempre. Dio e Adamo in Lui saranno uno solo. Tu l'ucciderai, nuovo Abele, servendoti dell'albero, me l'offrirai in sacrificio e mangerai la sua carne e berrai il sangue suo. Egli prenderà sopra di sé i tuoi peccati e in Lui farò giustizia del pianto e del sangue. Starà come segno di pace tra noi, speranza per te ed i tuoi figli fino all'estrema generazione».

La tragica sorte di Adamo sembra trovare una inaspettata soluzione tuttavia…
«Mai ucciderò Dio», gridò Adamo. Ma lo Spirito di Dio si allontanava come una grande tempesta. E il cuore di Adamo, tremando, ebbe compassione di Dio, solitario lassù ad aspettare che giungesse anche per il Figlio il suo giorno e non poteva risparmiarglielo; già lo vedeva bagnato di sangue e di pianto, Lui così radioso, ebbrezza delle angeliche sfere. Per questo fin dall'eternità l'aveva generato, e il Figlio gli si era offerto fin dal principio, come agnello docile al pastore cui dorme nel seno.
«Ecco il tuo agnello, Dio, pastore dei cieli
».

La medesima grandezza, la stessa compassione e tenerezza, questo stesso amore e dramma paterno, la Bono si affretta nel racconto successivo, a trasferirli nel personaggio più piccolo e semplice che si poteva pensare, il piccolo Abi appunto. Egli, lontanissimo da ogni profondità arcaica e grandiosità storica, è capace di consegnare la forza di questa esperienza così grande e decisiva anche nelle mani più fragili e misere.

[29 gennaio 2007]