Il Miglio verde

Regia: Frank Darabont

Con: Tom Hanks, David Morse, Michael Clarke Duncan, James Cromwell, Sam Rockwell, William Sadler, Harry Dean Stanton, Graham Greene, Bonnie Hunt, Michael Jeter

Genere Drammatico, Stati Uniti 1999.
Durata: 188'
Tratto dall’omonimo libro di Stephen King

“Quello che succede nel Miglio, rimane nel Miglio”

Ma qual è l’educazione sentimentale maschile? Dove si può trovare qualche esempio autentico? Mi pare di averne trovato uno in questo bellissimo film che lontano dai manierismi materni e in modo ben poco “sentimentale” affronta un tema molto duro, e per chi non lo sapesse è ispirato alla figura di un santo che ci è familiare.

San Cristoforo è il protettore dei viaggiatori, nella leggenda [1] è un gigante che vive nei pressi di un fiume e che traghetta all’altra riva chiunque glielo chiede. Un giorno gli si avvicina un fanciullo che gli chiede di portarlo di là sulle sue spalle, ma durante il trasporto il peso del fanciullo si fa sempre più insostenibile e il gigante per poco non rischia di morire. Usando tutte le sue forze e con molta difficoltà riesce a raggiungere l’altra riva e a questo punto chiede al bambino chi sia, aggiungendo: “Se io avessi portato il mondo intero sulle mie spalle il carico non avrebbe potuto essere maggiore”. Ed il bambino: “Non ti meravigliare Cristoforo! Non solo hai portato il mondo sulle spalle, ma Colui che creò il mondo”, e il bambino si rivela come Cristo Signore.
Cristoforo ha un legame aperto col mondo naturale e una funzione iniziatrice in particolare con gli aspetti che determinano l’identità maschile quali il dono il rischio e il sacrificio. La devozione popolare lo mette in relazione anche con la fertilità e la vita (di abbondanza), contro il male e la morte.

Ne ho riepilogato i tratti più importanti perché questo gigante, con la tutta la straordinaria ricchezza del suo mondo gentile, forte e buono, rivive in trasparenza e senza alcuna ombra di retorica in questo film particolarmente toccante e intenso.

La vicenda corre in parallelo tra gli eventi del mondo esteriore, quello sociale di relazione e familiare, e il mondo “separato” di un braccio della morte all’interno di un penitenziario, coi condannati che vi trascorrono gli ultimi giorni della propria esistenza a pochi metri dalla sedia elettrica che li attende per l’ultimo atto.

L’attenzione è focalizzata su quello che accade in questo luogo di confine, tra la condanna del tribunale e la morte, dove l’uomo prende congedo dalla vita, un luogo di estrema tensione e durezza: è qui che invece si sviluppa un intreccio di grande respiro umano e spirituale che scuote profondamente e finisce poi per riversarsi ed essere determinante per la vita “fuori”.

Questo film offre per lo meno due importanti possibilità: la prima è quella di aprire una finestra su quanto accade in questi ambiti estremi e separati, spesso nascosti o lontani dalla nostra considerazione (ma molte volte invece attuali e vicini), e far vedere cosa può accadere nell’animo umano mentre si avvicina l’ultimo momento, quali energie si manifestano dal profondo, quale sia la memoria della vita e il peso delle nostre azioni, le necessità della giustizia e del cuore, lì dove ormai si è fuori da ogni logica di produzione consumo e utilità.

La seconda possibilità è quella di veder in azione, qui, in un ambito separato, un mondo tutto al maschile, e per giunta in sana e ottima armonia col mondo femminile e domestico (a dispetto di certe sciagurate teorie di questi tempi).
Nel “braccio E” infatti ci sono solo personaggi maschili, un gruppo di poliziotti e di carcerati. Tra di loro si trova riunito un po’ il meglio e il peggio dell’uomo: c’è l’assassino, il sadico e il traditore, come il giusto il forte e l’innocente.
Tuttavia in nessuno dei due mondi, quello del carcere e quello esterno per intenderci, si può dire che regni la pace e l’amore, anzi la tensione del film sembra proprio reggersi sull’incapacità di accettare il messaggio di pace e di amore da parte dell’uomo e quindi sul dolore e sul male che lo attraversano.
Ma in questo spazio protetto verso l’esterno si sviluppano e si manifestano alcune dinamiche tipiche dell’animo maschile: l’intesa senza parole, il patto d’onore, il segreto che impedisce di comunicare all’esterno quanto accade all’interno del “miglio”, la difesa della dignità e dell’onore, lo sviluppo di una forza autorevole che sa ascoltare ordinare condurre e accompagnare, l’esercizio di una giustizia che tra i maschi è anche assai dura, e l’assunzione di responsabilità e di rischio verso la vita.

E’ interessante il rapporto di correzione che si instaura tra i carcerieri e il sadico che vuole ottenere un controllo e un potere assoluto sugli altri, un controllo che ultimamente vuole ergersi sulla vita e sulla morte. Dietro tale figura cattiva e crudele si vede chiaramente una debolezza che deve essere contenuta e dominata da una forza più grande.

Infine, qual è l’arma vincente di questo pugno di uomini nei confronti del male e delle sue manifestazioni? Qual è l’energia che li rende audaci ed eroi nei confronti della vita?

Non è un moralismo di pratiche e precetti, né tanto meno un razionalismo di leggi e ragionamenti che polarizzano la realtà in distinzioni questo si e questo no, né infine un edulcorato buonismo tanto dolce e sentimentale quanto spietato e cieco. Ma molto di più.

Da un lato mi pare un arma vincente quella di riconoscere al principio di essa (la vita) un Dio padre a cui riferire ultimamente sé stessi e le proprie azioni. E’ vincente perché è la sorgente della dignità che conduce al pentimento al perdono e infine al riscatto.
Dall’altro lato nel saper riconoscere dentro la realtà i segni dell’irrazionale del mistero e di anima e poi quindi nell’accettare il suo manifestarsi, come accade per esempio nel miracoloso che guarisce, oppure nella piccola forma naturale e bizzarra ma potentissima di un topo.

Due colonne portanti di una spiritualità maschile capace di riconoscere davvero il male e di temperarlo, di abbracciare anima e il femminile e quindi di attraversare la vita intera, portando con sé il peso del mondo e, si spera, senza affondare.


[1] vedi ne Il Maschio selvatico, Red, Como, 1993, pp. 35-39

[23 febbraio 2009]