Provincia meccanica
Italia 2005
Regia di Stefano Mordini
Con Stefano Accorsi e Valentina Cervi
Non sarà forse un capolavoro, ma è una bella storia sulla generosità e sulla positività della vita. Alle volte è un po’ lento, alcuni accadimenti poco realisti (l’incidente con l’auto per un colpo di sonno in cui in conducente esce illeso; l’invito repentino all’albanese conosciuto qualche ora prima a pernottare in casa propria; il modo improbabile con cui il protagonista sfugge ad un energumeno che lo insegue), sembrano escamotage per proseguire il racconto, e faranno storcere il naso ai cinefili, ma sono particolari trascurabili di fronte alle novità di contenuto che il film propone.
Dopo decenni di cinema italiano (e spesso anche straniero) in cui i padri e i maschi sono stati rappresentati come ininfluenti, assenti, o come figure negative, questa volta è un giovane padre al centro della scena. E’ Marco (Stefano Accorsi), che pur esprimendo le sue fragilità e col rischio di cadere nella depressione, lotta con tutte le forze per riunire la famiglia, per riprendersi la giovane moglie fedifraga (un po’ sciroccata e immatura, ma più vittima della madre divorante che colpevole), e per farsi restituire la bambina, “sequestrata” da un’assistente sociale tanto scialba quanto invasiva, solo perché rea di troppe assenze a scuola. Ed è sempre Marco che compie il gesto più generoso, un vero, grande, dono di vita, prendendosi cura di un figlio che sa non essere suo.
Una figura paterna forte e positiva, un rapporto travagliato fra una giovane donna e una madre terribile che ne inibisce la crescita psichica con l’eccesso di critiche e, last but not least, la denuncia in controtendenza della negatività dei così detti “Servizi sociali”, che tolgono con criminale noncuranza i bambini all’affetto della famiglia.
Sono questi gli elementi su cui ruota la vicenda , sullo sfondo di una città industriale di provincia, in cui trova posto anche un anziano caposquadra sindacalizzato, silenzioso e concreto esponente di un’antica cultura operaia e proletaria ormai sulla via del tramonto. Un severo ma comprensivo padre putativo per il giovane operaio Marco, una moglie e due bei bambini, il secondo dei quali sorprendentemente autonomo. Una normale vita di provincia di una coppia un po’ disordinata e “svitata”, nel senso di non corrispondenza ai canoni delle buone maniere piccolo borghesi. La casa è un po’ un caos, fra piatti da lavare, vestiti sparsi, un iguana che passeggia tranquillamente e tanti videogiochi. C’è affetto però, e molto, in quella allegra compagnia. Finchè, su denuncia della suocera, si intromette l’assistente sociale e inizia la crisi della famiglia che culmina col terzo figlio, frutto di un occasionale tradimento di lei, e che ne fa presagire il definitivo dissolvimento, evitato grazie alla tenacia e alla generosità di lui, nonché all’amore che in definitiva unisce profondamente la coppia, e questa ai figli. Un messaggio di speranza, sulla vita che sa farsi strada in mezzo alle difficoltà, sull’affetto che ricuce e sa prevalere sull’ego. Non poco, davvero.
A. Ermini