Tutti i battiti del mio cuore

di Jacques Audiard

Francia 2005

Un noir dalla potente presenza ritmica, ispirato a "Rapsodia per un killer" del 1978 di James Toback

recensione a cura di Michele De Toma 

Senza preamboli il film apre con un scena in cui un amico confida all'altro di essersi occupato del proprio padre, una volta giunto al termine della sua esistenza, con i ruoli scambiati, non senza averne avvertito il peso, comunque di buon grado poiché gli voleva bene.Si scopre nelle scene successive che i due sono soci d’affari in una società immobiliare di cui ne fa parte un terzo, quello con più pelo sullo stomaco e il meno impegnato nella vita.Il mondo degli affari richiede molta determinazione sia per far sgomberare a suon di mazzate gli extracomunitari che hanno occupato abusivamente le case in via di transazione, che nell’assunzione di un tempismo che non lascia spazio a eventuali ripensamenti da parte dei compratori.Sul padre di Tom, il giovane protagonista ventottenne del film, si scoprirà che ha pure lui fatto l'agente immobiliare.Il regista sembra giocare sul ritmo nel descrivere la vita di Tom, preso dal torrente in piena degli avvenimenti senza lo spazio di una riflessione.La domanda fondamentale che ci si pone è se questo ritmo sia intrinseco alla natura del personaggio o estrinseco e determinato dall’incalzare delle condizioni ambientali. Ma accade che per caso Tom incontri per la strada il professore di musica che aveva seguito o spinto sua madre, ormai scomparsa, nella carriera di pianista e aveva avuto modo di ascoltarne una performance musicale che lasciava ben sperare per una carriera positiva, che, tuttavia, non fu perseguita.Questo incontro smuove ricordi, nostalgie subito tradotti in desiderio di intraprendere lui stesso un percorso musicale, come era nelle aspirazioni materne, anche se mal si concilia con il suo attuale stile di vita. Tuttavia Tom persevera nel perseguire questa via parallela, che assume sempre più rilievo.Contestualmente alla riapertura di questa seconda via il regista mette in evidenza che il protagonista ha un 'anima che fa battere il suo cuore sino a svelarne le capacità di innamoramento e di sensibilità verso la bellezza femminile.Il traguardo finale sembra essere la musica, quella classica, quale aspirazione per raggiungere un equilibrio ed armonia che liberi dal determinismo della quotidianità.La quotidianità, tuttavia, intrinsecamente legata all'esigenza dell'affermazione di sé, è contrassegnata da un proprio ritmo, trasmesso da padre in figlio, che arriva al parossismo della violenza, dal quale è impossibile staccarsi,salvo il fatto di accedere al potere superiore della musica, pena l'esclusione dal gioco vitale del maschile.Su questo conflitto corre incalzante la pellicola sino alla conclusione finale.Il film sembra indicare che non si può integrare la profonda armonia vibrante, insita e veicolata dalla musica se non si è sciolto il nodo che tiene l'uomo vincolato alla violenza, dietro la quale vi sta un modo di essere tramandato da padre a figlio. Il profondo legame di amore che lega i figli ai padri ( meno evidente nel film quello dei padri verso i figli), fattore essenziale di continuità nell’identificazione di genere, non sembra essere sufficiente al cambiamento per una nuova, più armonica ed evoluta dimensione del vivere, perché l’estrema competitività per l’affermazione di sé che viene tramandata nello stesso legame, se non si integra con la dimensione della musica, porta inevitabilmente alla tragedia.Il film è visto nell'ottica maschile dell'agire ed è privo di connotazioni moralistiche nei confronti della violenza e sentimentali nei confronti del femminile e assolutamente non manca di un sentire profondo maschile.

[06 luglio 2006]