Figli in provetta alla ricerca del padre

(dal settimanale D Donna di Repubblica)

D Donna del 9 novembre 02 pubblica un articolo di Ralf Hoppe con le storie di alcuni ragazzi nati con la fecondazione artificiale eterologa, dal titolo: “FIGLI DEL GRANDE FREDDO”.

Nessun commento sarà mai così efficace come la lettura di queste storie, che sono il più grave atto d’accusa , vero, sofferto, personale, contro tutte i sostenitori del diritto incondizionato alla maternità che mai tengono conto del diritto del figlio a conoscere i propri genitori, e contro tutti coloro che sostengono l’inutilità del padre e la sua sostituibilità.
Il filosofo Jurgen Habermas nel suo libro “Il futuro della natura umana”, sostiene che un essere umano per conto del quale è stata presa da altri una decisione irreversibile proverà “per tutta la vita un senso di cecità e dipendenza nei confronti del suo manipolatore ed oscillerà fra fatalismo e risentimento”.
Si calcola che negli Usa i “figli del grande freddo” siano ormai fra 600.000 e 1 milione, e che in Europa si proceda al ritmo di 20.000 all’anno, senza contare il problema posto dal destino dei 200.000 embrioni congelati (dato realtivo ai soli USA).
Già la descrizione delle banche del seme dovrebbe far riflettere i sostenitori della fecondazione artificiale sulla squallidezza dell’atto che da inizio alla nuova vita.
“ Per mettere in piedi una banca del seme . . . . bastano un paio di donatori giovani, un camerino con qualche rivista porno, un po’ di azoto liquido per congelare lo sperma, un minimo di logistica per portare il prodotto alle clienti, due o tre test per escludere malattie genetiche.”
Ed è anche un affare, se si pensa che il tutto genera un fatturato di quattro miliardi di dollari, mentre per le coppie che vi ricorrono questa tecnica è più semplice e conveniente dell’adozione. Una provetta di sperma fornita dal ginecologo o ordinata via internet (come un qualsiasi oggetto), viene a costare dai 1500 ai 2500 euro.
Dice Bill Cordray, fondatore insieme ad altri figli in provetta del Club internazionale dei Senza padre, che le domande sulla propria identità “Non sono mere speculazioni, bensì quesiti che riguardano ciascuno di noi. Chi non se le è poste almeno una volta, non può immaginare quanto siano importanti . . . . La mia vita sarebbe perfetta se non ci fosse quest’ombra ad oscurare tutto”.
Ma veniamo alle storie , partendo proprio da quella di Bill Cordray. Architetto cinquantaseienne, sposato e padre di un bimbo, fa la fortuna degli psicanalisti da quando, 19 anni orsono, la madre gli ha rivelato la verità. Nonostante la difficoltà di conoscere il donatore a causa della morte del ginecologo che aveva procurato lo sperma, l’uomo continua imperterrito le sue ricerche. Lo choc della rivelazione era stato enorme , nonostante i sospetti sempre nutriti a causa della troppa diversità psico/fisica rispetto al padre ufficiale. “Un giorno un tale eiacula e da lì nasco io. La consapevolezza di essere stato concepito con tanta freddezza mi aveva scavato nella coscienza un vuoto che dovevo colmare a tutti i costi”.
Diversa, ma non nell’ anelito a “sapere”, è la storia di Rebecca. Lei, quando a 4 anni la madre le dette la notizia, è contenta, perché “daddy” urlava e la picchiava. Da quel momento però comincia a fare domande sognando un padre ricco, importante e soprattutto dolcissimo, un padre che un giorno sarebbe venuto a prenderla. Per ben 18 anni, fino alla morte della madre, riesce a mantenere la promessa fattale di conservare il segreto. Poi finalmente riesce a sapere chi è il padre. E qui inizia un altro dolore perché lui si rifiuta di vederla, anche quando Rebecca si presenta con una scusa a casa sua, oltre 1100 miglia lontano, e scopre quanto somigli ai fratelli e quanti gusti ed abitudini in comune abbiano. Le 1100 miglia di ritorno Rebecca le fa tutte d’un fiato piangendo a dirotto.
“Non pretendevo nulla da lui. Né affetto, né denaro. Volevo solo conoscerlo”. Da suo padre non è più tornata, ma “Anche solo l’idea di una banca del seme mi dà il voltastomaco”.
L’ultima storia è quella di Doron, nato nel 1982 su idea di un miliardario ossessionato dalla selezione della specie, Robert Clark Graham, che crea una banca del seme per “cervelloni”, dove solo premi Nobel sono abilitati a donare sperma. La vita di Doron è quella di un giovane genio con un QI di 180. A due anni e mezzo sapeva usare il computer, a dieci scriveva fiabe deliziose e frequentava vari talk/show. Oggi cerca di defilarsi e quando non parla velocissimo balbetta, anche per minuti di fila. Cordiale all’apparenza è in fondo all’anima malinconico e freddo. Ostenta disinteresse verso il vero padre, “E’ uno sconosciuto, non c’è alcun legame spirituale . . .Se mettessi in discussione il mio concepimento, dovrei fare altrettanto con la mia stessa esistenza”.
Ma Doron non sempre sorride, specialmente con sua madre. “Prima diventa duro e tagliente, poi, di colpo, per una sciocchezza qualsiasi, si mette ad urlare, diventa cereo e la voce gli si spezza. Come se portasse dentro una rabbia enorme. O il desiderio di una vita normale. Ma a noi dice – Devo accettarmi per quel che sono – e sorride”


Dedicato a tutti coloro che pensano che la paternità sia un accidente della storia, una costruzione culturale del patriarcato destinata a perire con esso.

Armando Ermini