Orfanotrofi e mercificazione della vita

Martedì 2 dicembre 2003, Marco Cappato, europarlamentare della lista Pannella/Bonino intervistato su radio Radicale, ha definito allucinante l’emendamento alla legge finanziaria, firmato da cinque deputati del Polo e dell’Ulivo, con il quale si propone di elargire 1500 euro alle donne che rinunciano all’aborto e affidano il figlio agli orfanotrofi.

Questi i motivi del giudizio. 1) Si tratterebbe di un atto di mercificazione della vita, sia nel senso di vera e propria compravendita, sia perché dietro gli orfanotrofi ci sarebbero gli interessi del Vaticano.
2) Non terrebbe conto del fatto che la crescita demografica incontrollata rappresenta un problema per i paesi sviluppati e non.
3) Un figlio dovrebbe essere un libero atto d’amore genitoriale e non un interesse di Stato. Ammesso che di mercificazione si tratti, noi, che del rifiuto di quel portato della modernità che tanto piace a Cappato abbiamo fatto la nostra ragione d’essere, questa volta preferiamo sporcarci le mani. Per salvare qualche vita ne vale la pena. Allo stesso modo riteniamo opera meritoria quella di chi riscatta col denaro persone ridotte in schiavitù per rendere loro la libertà. E se gli orfanotrofi sono gestiti dalla Chiesa, pazienza. Perché non si danno da fare i privati fautori del libero mercato o lo Stato?
2) Dietro il secondo argomento rispunta irresistibile il concetto dell’aborto non come tragedia ma come strumento di regolazione delle nascite, e con esso una cultura che non esita a sopprimere la vita per un supposto vantaggio materiale dei vivi.
3)Lo Stato, diciamo noi, ha non solo il diritto, ma il dovere di tutelare le nuove vite. Invece di preoccuparsi di regolamentare minuziosamente le azioni dei suoi cittadini (in questo concordiamo coi radicali), dovrebbe limitarsi a dettare i fondamenti base della comunità. E quello della tutela della vita non può non essere considerato tale. Ciò che turba Cappato è che con questo provvedimento si ammette implicitamente una contraddizione insanabile. Da un lato, in nome della tutela dei diritti femminili, ammette che le donne possano sopprimere a loro insindacabile giudizio la vita che portano in sé, dall’altro, seppure in modo subordinato e surrettizio, cerca un qualche rimedio a ciò che anch’esso sente come uno strappo.
Noi riteniamo che ci siano alcuni ambiti di indisponibilità al libero arbitrio soggettivo e che quello della vita sia uno di questi. Pochi giorni orsono Cappato ha inviato all’Unità una lettera/appello in “difesa della vita”, a favore della fecondazione artificiale per chiunque la voglia e per la “libertà di ricerca” sugli embrioni soprannumerari. Il suo giudizio – allucinante – dimostra cosa egli intenda per difesa della vita. La polemica con Cappato ci interessa tuttavia relativamente. Teniamo molto di più a sottolineare un altro aspetto di quell’emandamento. In esso si parla esclusivamente di orfanotrofi a cui affidare il bambino, mai del padre che fosse disponibile a fare altrettanto.
Vogliamo attirare l’attenzione dei parlamentari e delle forze politiche su questa incomprensibile dimenticanza, e sul fatto che lo spirito dell’”Appello per il padre”, di Claudio Risè, è in sintonia con quella legge. Che il bambino possa essere più amato e tutelato da suo padre piuttosto che in un orfanotrofio, per quanto meritorio sia, ci sembra incontestabile. Tanto più grave allora appare la lacuna, indice di una ancora persistente cultura antipaterna e di grave sottovalutazione della sua importanza per un sano sviluppo di crescita del bambino. Tanto più importante, e un passo nella giusta direzione, sarebbe invece un esplicito riferimento al padre.

A. Ermini