Omosessualità, genere maschile e bisogno di padre
Pubblichiamo un intervento di Paolo Ferliga uscito sull’ultimo numero della rivista Social News.
Spesso nel dibattito pubblico, che avviene soprattutto sui media, la questione dell’omosessualità viene affrontata in modo semplicistico e riduttivo. Da una parte c’è chi ritiene l’omosessualità una forma di perversione, una malattia che debba essere curata perché chi ne soffre possa finalmente conseguire una sessualità normale, dall’altra c’è chi afferma che l’omosessualità è un genere a se stante, del tutto equivalente, dal punto di vista psicologico e emotivo, all’eterosessualità. Entrambe le posizioni esprimono un approccio ideologico al problema, approccio che risponde più al bisogno di sicurezza di chi parla, che a uno sguardo scientifico sul fenomeno indagato.
Come ricorda Michel Foucault nella sua Storia della sessualità, i Greci dell’epoca classica non contrapponevano, come due tipi di comportamento radicalmente diversi, l’amore per il proprio sesso e quello per l’altro. Piuttosto quello che contava per loro, dal punto di vista morale era la differenza tra un uomo temperante e padrone di sé e un uomo che si abbandona ai piaceri. Per comprendere la psicologia dei Greci la nozione di omosessualità si rivela pertanto del tutto inadeguata. Spesso i giovani attraversavano, in particolare negli ambienti aristocratici, una fase in cui esprimevano le loro pulsioni sessuali verso un maschio, per poi passare nella maturità a una relazione tendenzialmente monogamica con una donna. L’amore di un uomo per un altro uomo, aveva notevole importanza dal punto di vista affettivo e psichico, all’interno delle relazioni di amicizia maschile. Basti ricordare la vicenda di Achille e Patroclo narrata da Omero. Dal punto di vista culturale tale amore si esprimeva poi nella relazione tra maestro e allievo assumendo un significato e una valenza di tipo eminentemente pedagogico. L’amore di un maschio per un maschio si presentava quindi come un orientamento funzionale a strutturare l’amicizia tra giovani e il rapporto di filiazione con un maestro. Anche tra Socrate e i suoi allievi circolava Eros, del tutto privo però di rapporti sessuali. Come spiega Platone nel Simposio, Socrate aiuta i suoi discepoli a trasformare la pulsione sessuale, legata all’affetto che provano per lui, in ricerca della verità e del bene. Eros, liberato dalla sua relazione con il corpo, diviene così il principale alleato del filosofo. Dal punto di vista psicologico quello che possiamo imparare dall’esperienza dei Greci è che la conoscenza e l’amore per il proprio genere è indispensabile per una formazione piena della propria identità e funzionale allo sviluppo di una personalità matura.
La definizione invece, tipica della modernità, dell’omosessualità come di un genere a se stante, rompe l’unità e la ricchezza simbolica del campo maschile. Prima che venisse isolato e separato dal genere maschile l’orientamento omosessuale, avere delle pulsioni di tipo omosessuale non implicava necessariamente essere omosessuale.
Solo dopo questa nuova definizione diventa possibile la domanda, che spesso un giovane maschio si pone: non sarò forse omosessuale? Come spiega Claudio Risé nel suo ultimo libro, La crisi del dono, trasformare un orientamento sessuale in un’identità di genere è particolarmente pericoloso soprattutto durante l’adolescenza, un’età fluida per eccellenza, in cui la personalità di ciascun individuo è ancora in formazione. L’invenzione del genere gay, finalizzata nelle intenzioni a tutelare gli omosessuali dalla discriminazione, finisce invece per isolarli e impoverire la vitalità e la creatività del mondo maschile.
In questo senso la posizione di Freud è ancora oggi interessante. “L’indagine psicoanalitica si rifiuta con grande energia di separare gli omosessuali come un gruppo di specie particolare dalle altre persone. Essa, studiando eccitamenti sessuali diversi da quelli che si manifestano, sa che tutte le persone sono capaci di scegliere un oggetto sessuale dello stesso sesso e hanno anche fatto questa scelta nell’inconscio.” (Opere vol. 4, p. 460)
Freud dunque non considera l’omosessualità come una malattia. La contrappone però a una sessualità “normale”, che presuppone il superamento del complesso di Edipo. Per questo motivo tende a considerarla come una forma di attaccamento a comportamenti sessuali arcaici legati a livelli psicologici pregenitali. La maturità piena presuppone l’incontro con l’altro e quindi, dal punto di vista sessuale, con l’altro genere. Il prevalere della posizione omoerotica è radicato, secondo Freud, nella mancanza di un padre forte nell’infanzia.
In conclusione questa sembra essere oggi la questione centrale. La debolezza del campo maschile si coniuga con una figura di padre sempre più debole, spesso assente dalla vita dei figli per propria responsabilità o perché escluso da un sistema che in caso di separazione o divorzio, lo allontana dai figli. Nell’esprimere la propria omosessualità, molti uomini esprimono il loro amore per il mondo maschile e per un padre che sentono assente. Rinchiudere questo amore dentro lo schema rigido di un’identità predefinita impoverisce ancora di più le potenzialità del genere maschile. Solo la libera ricerca di quanto il proprio orientamento, omosessuale o eterosessuale, possa arricchire e dare senso alla propria vita, può invece contribuire alla felicità personale.
Paolo Ferliga
[08 luglio 2009]