Nuove (vecchissime) scemenze sul maschio

In questo periodo quando si parla di guerra la mente corre subito all’Afghanistan,

ma l’ESPRESSO, nel numero del 25 ottobre 2001, non manca di ricordarci con un lungo articolo a firma di Vichi De Marchi, che la vera guerra è quella fra i sessi, ed è una guerra dall’esito acquisito, come evidenzia il titolo (Il sesso debole).
Il pezzo, che tratta delle differenze nei bambini e nei giovani, inizia con una serie di statistiche che evidenziano la supremazia femminile, in profitto ed in frequenza, a scuola e nelle università, per proseguire poi sui dati relativi alla devianza, all’uso di droghe ed ai disturbi del comportamento, a maggioranza appannaggio dell’ ex sesso forte. Si prendono poi quelli che sarebbero i risultati degli anglosassoni “men’s studies” sul cervello maschile per concludere : “Il responso sembra incontestabile. I maschi sono il sesso debole”. Infatti, secondo psichiatri come Sebastian Kraemer o terapeuti familiari come Michael Gurion, nascere maschio è una vera corsa ad ostacoli, dimostrata dal fatto che se gli embrioni maschili sono 120 contro i 100 femminili, di feti maschili ne rimangono alla nascita solo 105. La colpa sarebbe dei cromosomi maschili più deboli. Non solo, anche a prescindere dalla maggiore esposizione dei neonati maschi a danni cerebrali e parti prematuri, una femmina appena nata è psicologicamente equivalente ad un maschio di 4/6 settimane. Inutile poi la rincorsa successiva perchè gli uomini moriranno statisticamente prima delle donne. E dunque ecco dimostrata l’inferiorità biologica maschile, confermata dalla conformazione del cervello , più grande si di quello femminile (ma ora questo dato è diventato ininfluente), ma più primitivo. Secondo Alberto Oliviero questa caratteristica, farebbe sì che i maschi esprimano i sentimenti attraverso l’azione mentre le femmine manifesterebbero emozioni e sentimenti di cura. Quindi alle femmine, dal cervello evoluto, l’empatia e l’accudimento , ai maschi, dal cervello primitivo, l’azione, la perlustrazione dello spazio ed il pragmatismo.
I nazisti non potrebbero essere stati più precisi e “documentati” nel “dimostrare” la superiorità della razza ariana e l’inferiorità dei “negri”. E’ sufficiente individuare un risultato da raggiungere e si potrà trovare sempre qualche “scienziato” che darà la dimostrazione con dati “inoppugnabili”. Come i nazisti, appunto! Ma fino a qui il giuoco è così scoperto da risultare perfino stupido.
Molto più sottile è l’accostamento fra primitività del cervello maschile /caratteristica dell’azione, e alta evoluzione del cervello femminile/caratteristica dell’empatia e dell’accudimento, qualità che, descritte con questa tecnica, risultano superiori naturalmente. Ma la superiorità/inferiorità dell’una o dell’altra caratteristica è giudizio squisitamente ideologico, non scientifico, e come tale ancor di più opinabile e soggettivo. E’ qui evidente il dominio dell’archetipo Grandematerno, dove l’esaltazione della qualità dell’accudimento serve a mantenere l’umanità in uno stato infantile di “bisogno” a sua volta funzionale come stimolo ai consumi, cosa molto più problematica con le qualità maschili di azione, perlustrazione spaziale, avventura.
La seconda parte dell’articolo dà spazio, fortunatamente, a chi contesta le opinioni sulla superiorità biologica femminile ed afferma che il diverso rendimento scolastico è dovuto a fattori sociali. C’è chi, come Ethel Serravalle, si affida al buon senso ricordando semplicemente che le ragazze si impegnano di più, mentre i maschi hanno più impegni extrascolastici, e chi, come Gustavo Pietropolli Charmet, mette finalmente il dito nella piaga, ricordando che la scuola, soprattutto quella media, sembra pensata più per le femmine che per i maschi che hanno più bisogno di avventura di esplorare il mondo. Le femmine, invece, esplorano l’interiorità, la coppia. . . . Le ragazze maturano prima con ricadute positive sul rendimento scolastico. Lo stesso Pietropolli rileva ancora, a proposito della difficoltà dei maschi nella costruzione della coppia, che il ragazzo teme una nuova dipendenza proprio quando ha appena reciso il legame con la madre. Ha paura di dover sacrificare sull’altare della coppia, gli amici, lo sport, l’avventura.
Ineccepibile, ma questa paura viene vista come difficoltà (e quindi connotata negativamente), perché inscritta in una società che assume i valori (ed i tempi) femminili come quelli di riferimento.
I rimedi proposti dall’articolo ne sono riprova. Costruire una scuola adatta alle caratteristiche maschili, a costo di tornare ad una netta separazione? Ridare ad esse valore ed importanza per aumentare l’autostima dei ragazzi? Macchè! Poiché i bambini maschi sono più fragili emotivamente (riecco l’inferiorità biologica), occorre semplicemente, con William Pollack, rompere il diktat della mascolinità, ossia far si che possano esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni. Vero, ma in un contesto di accettazione e promozione di valori e riferimenti esclusivamente femminili, tutto si risolverebbe nella definitiva femminilizzazione dei bambini e dei ragazzi, con quale esito per il loro equilibrio è facile prevedere.
L’articolo, in un soprassalto di obbiettività, si chiede infine perché, se le donne sono il nuovo sesso forte, parlare ancora di “pari opportunità” e di tutele ad esse rivolte? Ethel Serravalle concede che si, in effetti, bisogna parlare di identità di genere, per l’uomo e per la donna, abbattendo tutti gli stereotipi che bloccano i due sessi. Senza scordare però, che la corsa delle donne si arresta appena escono dalla scuola. E dunque, la donna è il sesso forte, la scuola è a sua immagine e somiglianza, ma deve ancora essere tutelata. Evidentemente la prepotenza e l’oppressione maschile superano ogni immaginazione. Viene voglia di fucilarli questi maschi così deboli e così prepotenti, così fragili e così oppressivi, e soprattutto così incapaci di adattarsi al regno di Lei.

Armando