Madre inadeguata? La colpa è del padre

Madre inadeguata? La colpa è del padre

Molto bella e istruttiva, come diceva Giovanni Guareschi, una sentenza che, almeno fino all'auspicabile nuovo ricorso, ha apposto i titoli di coda su una brutta storia di separazione e divorzio, tra due genitori di un bambino che all'inizio della storia aveva tre anni e ora va per compiere i tredici.

La decisione si inserisce nel nuovo filone dei danni non patrimoniali da privazione della figura genitoriale (finora applicata, per quanto ci risulta, solo a carico dei padri).
Vale la pena vederla da vicino, perché sono casi che fanno scuola. Non citeremo gli estremi della sentenza: ciò per tutelare non tanto la privacy dei soggetti coinvolti, quanto il nostro portafoglio, dal momento che a quanto pare quei signori le critiche amano farsele pagare. Pur tuttavia garantiamo che essa esiste, proviene da un Tribunale italiano, ed è datata a quest'anno.
Orbene, nel corso di una lite giudiziaria assai lacerante, il Tribunale aveva disposto l'affidamento del figlio al padre; cosa di per sé assai inconsueta - avviene all'incirca nel cinque per cento dei casi - tanto che poi ci aveva ripensato, e alfine aveva disposto la revoca della potestà di entrambi i genitori e l'affidamento del figlio ai Servizi Sociali (d'ora in poi, per brevità: S.S.) del Comune.
Tutto ciò dietro varie relazioni di assistenti sociali e psicologhe incaricate dalle istituzioni (d'ora in poi, sempre per brevità: A.s.p.i.d.i.), le quali avevano asseverato che entrambi i genitori si erano mostrati, per litigiosità reciproca, inadeguati al loro ruolo.
Secondo le A.s.p.i.d.i. i genitori non sarebbero stati – citiamo testualmente - abbastanza "protettivi, contenitivi e rassicuranti" verso il bambino (alla faccia della Grande Madre ...).
Infatti, la madre era stata trovata affetta da "disturbo narcisistico di personalità" e si era mostrata inaffidabile e poco sollecita verso il figlio. Ma il padre che, in effetti, non gradiva che il bambino si vedesse con la madre narcisista, è stato considerato anche lui affetto da "disturbo di personalità". Perché?
A quanto si legge nella sentenza, che dovrebbe essere esauriente sul punto, in quanto è tutta basata su quest’aspetto della vicenda, nel corso del tempo, il padre si era sempre mostrato "svalutativo" e ostile verso "l'intervento di recupero" di A.s.p.i.d.i. e S.S.
Sembra peraltro che non fosse il solo: è stato più volte ribadito nella decisione che anche la madre si era sempre mostrata molto ostile verso i mediatori istituzionali, anche se - come si legge nemmeno troppo tra le righe - lei si limitava a non farsi vedere agli appuntamenti, mentre il padre si era anche sbilanciato in dichiarazioni esplicite; ma soprattutto il bambino, sempre a quanto si legge nella sentenza, aveva acriticamente aderito al punto di vista del padre, manifestando il desiderio di stare con lui e di cancellare la madre dalla sua vita, anche perché pare che la nuova compagna del padre l'avesse in qualche modo surrogata.
Secondo le A.s.p.i.d.i., nel corso dei loro tentativi di risolvere la situazione, il bambino "si è mantenuto in una posizione rigidamente difensiva, non si è neppure permesso di percepire il contesto di aiuto e di sostegno, perché terrorizzato dall'idea che qualcuno potesse avvicinarsi ad una struttura difensiva così rigida e massiva". A quanto pare, tale struttura rigida era costituita dal padre e dal suo nuovo ambiente familiare. E questo, evidentemente, era davvero troppo: finché si tratta di famiglie allargate è un conto, e sappiamo bene che quando un uomo si fa sostituire dal nuovo compagno della moglie nel crescere i propri figli, si tratta di un diritto femminile e di un'aggravante per lui (se la moglie ha sentito il bisogno di rifarsi una vita senza il padre dei suoi figli, un motivo ci sarà ...).
Ma può forse un figlio preferire il padre alla madre. Soprattutto, può preferire il padre ai "percorsi terapeutici" proposti? Certo che no: infatti si è diagnosticato che a causa di questo rifiuto il bambino (all'epoca di nemmeno dieci anni, a quanto si legge) avrebbe sviluppato una erronea opinione di se stesso e del mondo. Citiamo infatti testualmente dalla relazione A.s.p.i.d.i.: "la percezione della realtà, soprattutto di quella emotiva, da parte di questo bambino è così parziale e circoscritta, e il suo atteggiamento manifesto appare così rispondente alle aspettative del padre, che è verosimile parlare di una strutturazione di personalità di "Falso Sé".
Gli incolti di psicologia non sanno bene cosa sia questo "falso sé", ma sembrerebbe chiaro che si tratti di un sé che preferisce il padre alle psicologhe. Tanto che il padre stesso, per motivi non meglio precisati nella sentenza se non per via del suo atteggiamento negativo verso l'intervento "terapeutico", è stato giudicato "disturbato”; quindi, si è visto togliere la potestà al pari della madre.
E qui per la verità ci sorge un dubbio: come si chiamava quel Paese dove si consideravano insani di mente quelli che rifiutavano gli interventi dello Stato sulla loro vita di relazione?
Nell'attesa che ci venga in mente, annotiamo che i giudici, pur affidando il figlio ai S.S., hanno disposto il "collocamento" di quest'ultimo presso il padre, con obbligo di concorso della madre nel mantenimento (200 euro mensili e metà delle spese straordinarie). Anche perché il figlio aveva più volte manifestato aperta ostilità verso la figura materna.
Infatti, le A.s.p.i.d.i. avevano a suo tempo deciso, e i Giudici confermato, che appariva meglio sospendere persino il diritto di visita della madre. Come a dire che l'unico a fare resistenza contro le mediazioni istituzionali non era stato il padre. Leggesi, infatti, nel provvedimento confermato dalla sentenza in esame: "Lasciare (il figlio) affidato ad un Ente Tutore, in considerazione delle gravi carenze genitoriali dimostrate da entrambi. Non prevedere al momento attuale altre occasioni d'incontro (del figlio) con la madre a meno che non partano da un'esplicita richiesta del bambino. Non prescrivere ai componenti del nucleo familiare un intervento terapeutico coatto (bontà loro, ndr.), in considerazione della scarsissima recettività dimostrata nei diversi contesti d'intervento strutturati nel passato e in tempi recenti, e in considerazione della fortissima resistenza al cambiamento dimostrata da tutti".
Insomma, entrambi i genitori sono stati riconosciuti come renitenti all'intervento terapeutico, e quindi inadeguati al ruolo genitoriale, tant'è che il padre non ha ottenuto l'affidamento, ma solo il "collocamento", manco fosse un pacco, del bambino.
Come a dire: non sei nemmeno tu un padre adeguato e quindi ci penserà il Comune a fare da padre (ottima applicazione del principio di sussidiarietà), però non pretenderai che l'Ente pubblico - con tutti i tagli che ci sono nella Finanziaria ... - paghi anche le spese. Quindi, poiché notoriamente un padre per quanto inadeguato non può mai essere meno adeguato del suo portafoglio, è stato deciso che il padre avrebbe tenuto il bambino a casa e pagato le spese a piè di lista, ma la madre avrebbe contribuito con i 200 euro al mese. Soluzione abbastanza insolita: chi conosce questo tipo di giurisprudenza, sa bene che per vedersi togliere l'affidamento del figlio ed affibbiare un concorso nel mantenimento, cioè quel che per il padre è la regola, bisogna che una madre abbia davvero esagerato.
Ma fino a che punto può una madre dirsi colpevole senza che il padre lo sia altrettanto?
Non più di tanto, a quanto pare, visto che il Tribunale, con la decisione in esame, ha rimesso tutti i puntini sulle “i” che sembravano mancare: confermati tutti i provvedimenti, compreso il "collocamento" del bambino al padre ed i 200 euro mensili a carico della madre.
Però sia ben chiaro: se il figlio non vuol vedere più la sua madre "narcisista" e quest'ultima si è quindi trovata priva del suo ruolo genitoriale, nonostante la propria riconosciuta e confermata corresponsabilità nel fatto, la colpa vera (ah, la colpa, la colpa…) non può che essere del padre.
Infatti, nonostante sia stato apertamente riconosciuto che esiste il "concorso di colpa" della madre, secondo il Tribunale, l’ex marito dovrà pagarle, per avere osato essere conflittuale con lei ed averle messo contro il bambino - benché, in effetti, lui sia stato riconosciuto più adeguato per il "collocamento" del bambino stesso - il cospicuo risarcimento di euro 50.000 (dicasi cinquantamila).
Come se il figlio fosse morto in un incidente stradale per colpa del padre stesso (il parametro del danno da morte o gravi lesioni del congiunto è stato apertamente invocato dai Giudici).
I nostri esperti ci dicono che fino a poco tempo fa, nel nostro ordinamento, per essere tenuti a risarcire “danni non patrimoniali" di questo tipo (così esplicitamente qualificati dalla sentenza) bisognava che il fatto dannoso fosse almeno qualificato dalla legge come reato.
Ora non più, tant'è che nella decisione in esame si legge apertamente che la vera colpa del condannato non è stata tanto quella di avere deliberatamente violato gli ordini dell'autorità. La vera colpa di questo padre è stata un'altra, tutta fondata sui suoi atteggiamenti di renitenza: questo padre, citiamo testualmente "non ha mai dato un reale contributo positivo all'evoluzione della relazione (del figlio) con la madre, esplicitando, sia con comportamenti di rigida chiusura emotiva, sia con aperte dichiarazioni, anche alla presenza del bambino, la sua radicale sfiducia sull'utilità degli interventi di mediazione in atto". Insomma, sembra che siano state le emozioni, gli atteggiamenti e le dichiarazioni di sfiducia verso i "mediatori" istituzionali, più che precisi fatti lesivi, a motivare sì onerosa condanna. Il fatto che l'ex moglie avesse anch'essa manifestato analoga sfiducia verso le A.s.p.i.d.i., come e' stato riconosciuto al punto che anche per lei è stata confermata la revoca della potesta' genitoriale, non ha pareggiato i conti: la madre ha sbagliato, ma avrà avuto le sue ragioni.
Chissà se questo padre potra' almeno scalare dall'importo del risarcimento i 200 euro mensili di contributo materno per il bimbo.
E chissà se il Tribunale, in genere così sollecito dell'interesse dei minori, si sia chiesto se un pagamento secco di 50.000 euro a carico del genitore "collocatario" a favore dell'altro possa o meno influire sul tenore di vita del bambino stesso, oltre che sulla serenità del contesto in cui vive e sull'auspicato recupero di relazioni significative con la madre.
I giudici hanno detto apertamente che la madre - per quanto "disturbata" e "narcisista", secondo le A.s.p.i.d.i. - aveva diritto a ricostruire significative relazioni con il figlio (che non la voleva più vedere).
Chissà, forse hanno pensato che mandarle il ragazzino ormai tredicenne a fare gli auguri di Natale con un circolare da 50 mila euro, magari nella busta della letterina da mettere sotto il piatto, potesse aiutare allo scopo ....

[Dicembre 2004]