Coppie di fatto, le vere poste in giuoco
Ida Dominijanni, su Il Manifesto del 3 aprile 2007 (La norma eterosessuale), ha il merito di esplicitare senza mascherature, soprattutto agli occhi del variegato schieramento favorevole ai Dico, il reale oggetto del contendere sulla legalizzazione delle unioni di fatto.
Non la condanna del sesso omosessuale, né la negazione dei diritti individuali che la Chiesa ammette senza difficoltà, ma un intero ordine sociale ed antropologico. Per la Chiesa, come scrive la nota dei vescovi sui Dico, “la legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”. Ed è su questa differenza che si fonda il primato del matrimonio e della famiglia naturale come cellula base della società. La legalizzazione della coppia omosessuale minaccia l’ordine costituito, scrive la Dominijanni, perché attiva la genitorialità omosessuale, ossia una concezione della procreazione “denaturalizzata” e slegata, come già accade con la fecondazione artificiale, dall’accoppiamento maschio/femmina, con evidenti effetti sul concetto di famiglia e sullo statuto antropologico della società. Sull’altro versante, il riconoscimento delle coppie omosessuali da parte dello Stato deve essere visto proprio come il grimaldello per scardinare l’ordine sociale che si basa sulla differenza sessuale. Ma se il riconoscimento porterebbe alla luce un fenomeno destinato altrimenti all’ombra, la Dominijanni non si nasconde l’esistenza di un problema. Scrive infatti in chiusura dell’articolo: “ Una volta che le sovversive coppie gay saranno riconosciute e legalizzate, che sarà di queste pratiche sessuali, affettive e parentali, e della loro radicale estraneità alla norma e alla normalizzazione?”
Detto con altre parole: è preferibile una società che assuma il dato di natura a fondamento del suo ordine sociale, ma che contemporaneamente lasci libertà a comportamenti che in quell’ordine non vogliano riconoscersi (come accadeva in epoche definite oscure), oppure una società che normi, “regolarizzi”, amministri ed inglobi tutto in un magma indifferenziato?
Questa è la scelta. Non i diritti o la tolleranza, non il dettato Costituzionale, non la supposta omofobia di alcuni, non la secondaria urgenza della questione.
Ed è su questo che tutti siamo chiamati a pronunciarci, al di là dei tatticismi, delle mediazioni, del buon senso comune in stile Pollastrini e Bindi, che tendono a nascondere il vero problema.A me vengono in mente due cose. Le parole di Foucault sul biopetere che, in nome dei diritti estende la sua presa amministrativo/ burocratica su tutti gli aspetti della vita, fino al corpo ed al suo uso, e quelle di Renè Girard sull’indifferenziazione come matrice di ogni violenza, al centro delle preoccupazioni delle società così dette primitive.
[10 aprile 2007]