Sulla clonazione e l'esonero della maschilità
di Rino Barnart, Associazione etica maschile Uomini 3000, www.uomini3000.it , 12/04/05
Cosa c’entra la clonazione con la questione maschile? Quali sono i suoi presupposti e quali le conseguenze?
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Clonarsi vuol dire ripetersi, eternarsi nella misura massima oggi possibile. Questa è la prospettiva, l'intendimento. Ma pensarsi eterni e voler stare qui per sempre significa impedire agli altri di venirci, conservare ciò che c'è; significa vietare questo mondo alla Novità. Per clonarmi devo pensare (anche se lo nego) di essere qualcosa di prossimo alla perfezione, qualcosa che difficilmente può essere superato, qualcosa che non può migliorare. Mi clono nella prospettiva che anche il clonato farà come me e si riclonerà a sua volta, unica ipotesi per lui sensata ed al tempo stesso unico motivo del mio clonarmi, onere morale che gli lascio insieme all'eredità genetica. Mi clono per poter continuare a durare, ad occupare spazio e tempo, materia ed energia, risorse limitate della terra e del cosmo e con questo mio eterno permanere impedisco al Nuovo di venire al mondo.
Se tutti ci clonassimo nessun nuovo essere umano potrebbe nascere. La nostra eterna durata rappresenta la fine di ogni possibilità di esistenza per altri diversi da noi. Se i miei avi si fossero clonati io non sarei qui, nessuno di noi sarebbe qui. Siamo il frutto di una creazione che dura da 3.900.000.000 anni. Non solo noi, anche le tigri, i cavalli, le rondini... Siamo figli di un eterno mutamento che la clonazione finalmente paralizza, congela, pietrifica. Siamo figli della creazione (avvenuta per mano di Dio o del Caso a seconda del nostro sentire) ma figli della Creazione indubitabilmente.
La clonazione è dunque la fine del mutamento, l'aborto della Creazione. Mi sono autonominato Dio, Cosmo, Natura, ed ho deciso di clonarmi, di durare in eterno a scapito di ogni possibilità altrui di esistenza, ho raggiunto il limite estremo della blasfemìa ma non possono riconoscerlo, non posso ammetterlo.
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Mi clono perché ho paura di morire ed ho paura di morire perché tutto il senso dell'esistenza per me è racchiuso nei confini di questa mia esperienza, perché non trovo più motivi per cui spendermi, darmi, bruciarmi, se non quelli del mio eterno durare. La mia sopravvivenza è diventata il mio primo valore, la conservazione del mio corpo la priorità cui tutto il resto è subordinato. Ho paura della scommessa, del rischio che ogni azione creatrice comporta necessariamente. Vorrei creare senza rischi, inventare senza perdite, scoprire senza costi. Non voglio morire, nel senso preciso che non riconosco alcuna ragione per la quale il mio corpo debba finire.
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Mi clono dunque come se la creazione avesse raggiunto il suo apice in me, come se nessun altro al di fuori di me avesse il diritto di esistere, come se mi autoidolatrassi, come se tutto ciò che esiste dovesse mirare alla mia durata, come se l'intera storia del cosmo trovasse senso nel garantire la conservazione del mio corpo, la mia eterna durata nel mondo della materia.
Cosa vi è di maschile in tutto questo? Sicurezza contro rischio, corpo contro spirito, durata contro mutamento, conservazione contro creazione, paura contro coraggio. Qui di maschile non è nulla. E' una prospettiva totalmente femminile che mira a conservare ciò che esiste, che teme il nuovo perché pericoloso, che pone il corpo al di sopra di tutto. E' l'abolizione del caso, dell'imprevedibile, è la garanzia del certo, del sicuro, apice di quella prospettiva che si manifesta nelle infinite tutele, protezioni, sicurezze, garanzie, certezze che sempre più vogliamo e auspichiamo (incapaci di capire da dove vengano e dove portino).
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Tutti gli elementi di polarità maschile (che la clonazione nega) hanno trovato materializzazione biologica nella sessualità, perché questa è la via maestra inventata dalla natura per creare le forme viventi. Non l'unica, ma quella decisiva e determinante, il fattore essenziale. Il sesso si fa in due, per la clonazione basta uno, o meglio, UNA. E infatti la clonazione non è altro che l'abolizione del sesso, dell'incontro tra due "vecchi" che generano uno "nuovo". E' il rifiuto della generazione sostituita dalla replicazione. Niente di più consequenziale: clonazione=fine del sesso, fine radicale dell'intervento maschile nella riproduzione, sia in senso materiale che simbolico. Autogenesi femminile del mondo, cacciata definitiva del padre, anzi pura e semplice abolizione del concetto stesso di paternità. Nessuno stupore che sia attesa dalle lesbiche e nessuno stupore che le cellule da replicare siano prelevate dal corpo della madre. Se l'unione sessuale è amore, allora questo è il trionfo dell'autoamore. Femminile, beninteso.
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Chi vuole il nuovo nel mondo deve andarsene dal mondo, chi è creatore deve accettare la morte che è prerequisito della creazione, deve accettare l'irreversibile e con ciò la propria fine. Come se un'intelligenza suprema governasse il cosmo, la natura ha obbedito ciecamente a questa legge ed insieme al sesso ha inventato la morte programmata. Nello stesso istante in cui ha inventato la sessualità ha inventato anche la morte, l'orologio biologico dell'invecchiamento e della fine. Solo i viventi sessuati invecchiano. Perciò, coerentemente, chi teme la morte, chi vuole vivere in eterno sta lontano dal sesso.
A cosa servono gli uomini? Perché lasciare spazio agli altri quando si può vivere in eterno? Perché generare quando ci si può replicare? Perché lasciare il futuro al gioco del caso quando lo si può governare, predeterminare, manipolare? Perché scommettere sulla creazione quando la si può sterilizzare insieme a tutte le sue possibilità? Perché condividere quando si può tenere tutto per sé? Perché contaminarsi con i maschi quando si può partorire da vergini? Perché mescolare i propri geni, perché alterare e corrompere la propria forma? Perché mai amare quando ci si può autoamare?