L’aggressività negata rischia di produrre i veri mostri

L’aggressività negata rischia di produrre i veri mostri - Intervista a Claudio Risé a cura di Vichi De Marchi

(L’Unità, 22 agosto 1999)

Andiamo verso società sempre più intolleranti, spaventate da ogni simbolo di diversità? Negli ultimi giorni tre fatti di cronaca – la morte del giovane parà a Pisa, la violenza di branco contro un trans in treno e l’attacco fascista alla festa gay in Versilia – fanno riemergere una violenza sotto il segno del maschio in cui impunità e codardia, inconsapevolezza e odio verso l’altro, ancor più se trasgressivo e differente dai canoni dell’omologazione, si manifestano in tutta la loro forza, Massimo Granellini su La Stampa parla di civiltà del maschio in declino. Machi e non maschi che via via ammantano la loro violenza con le bandiere della politica, di una muscolosa e sprezzante virilità o del nulla. Claudio Risé, psicoanalista, docente di Polemologia all’Università di Trieste, non ha dubbi: viviamo in una società schizofrenica che avendo rimosso l’aggressività istintuale che c’è in ciascuno di noi, produce incubi e mostri. Nelle sue opere – dal Maschio selvatico all’ultimo libro scritto con il filosofo Claudio Bonvecchio, L’Ombra del potere (editi da Red) – Risé analizza attentamente i fenomeni di crisi del modello maschile nelle opulenti società occidentali.

D - Professor Risé i recenti fatti di cronaca sembrano nascere tutti da una crisi del modello di convivenza civile che trae origine dai canoni della violenza maschile.

R - «Distinguerei. La morte del giovane parà di Pisa avviene all’interno di una istituzione, quella militare, oggi profondamente in crisi. Nell’attesa di una riforma, che porterà a un esercito professionale, decine di ufficiali e soldati non sanno quale sarà il loro destino. Vivono con discredito e sbandamento la loro condizione attuale. E viene meno quel ruolo di formazione che pure ha avuto l’esercito nei confronti di giovani che affrontano il difficile passaggio tra adolescenza e età adulta, tra abbandono della famiglia e inserimento nella società. Negli altri due casi siamo, invece, di fronte ad un rigurgito di violenza e di sottoculture che, nei casi specifici, ha come obiettivi i gay o i trans ma che ugualmente potrebbero rivolgersi contro ogni situazione che imponga un atteggiamento di rispetto, dagli immigrati o, più banalmente, fermarsi davanti al semaforo rosso».

D - Nei suoi libri Lei analizza la perdita nelle nostre società di quei rituali di passaggio che facevano crescere il maschio incanalandone l’energia e sollecita l’universo maschile a riscoprire la propria parte «selvatica». Una ricetta buona anche per i violenti di Pisa, del treno o della Versilia?

R - «Leonardo diceva che selvatico è “colui che si salva”. I recenti fatti di cronaca sono frutto di una non educazione all’aggressività. Nel mondo occidentale, da un certo punto in poi, l’aggressività è stata negata e si è smesso di iniziare i giovani uomini all’uso di questa energia, che significa soprattutto saperla riconoscere ed educarla per scopi utili e non disutili o distruttivi. Si nega l’aggressività senza capire che essa fa parte del bagaglio istintuale dell’uomo. Ma rimuoverla è pericoloso».

D - Solo che nell’attuale civiltà sono impensabili riti di passaggio come quelli antichi o ancora attivi in società più primitive dove il giovane deve superare prove di coraggio con il fuoco, il sangue, la solitudine e le mille insidie dello stare solo nella foresta. Bisogna che la nostra società inventi nuovi riti?

R - «Bisogna far agire figure simboliche, rimettere in piedi e far funzionare la figura paterna oggi assorbita dalla vita economica. E’ successo che nelle nostre società è entrato in crisi il rapporto padre-figlio. La figura genitoriale non ha più una funzione iniziatica nel doppio senso di trasmettere al figlio ciò che di specifico ha la cultura materiale maschile, compreso fare i conti con l’aggressività, e di essere un ponte verso la società. Il padre è scomparso, risucchiato da qualche multinazionale e il giovane resta solo con le sue domande. Prendiamo il caso del parà. Scegliere di andare in un corpo come quello anziché fare l’obiettore civile o il normale servizio di leva significa già essere alla ricerca di qualcosa, essere portatore di una precisa richiesta di iniziazione in un mondo del rischio, del pericolo, dell’educazione alla violenza».

D - Disorientamento e violenza del maschio perché scelgono di colpire soprattutto le diversità? Una volta la violenza aveva matrici più nette, magari era dichiaratamente politica o malavitosa.

R - «L’aggressività verso il diverso nasce da una profonda insicurezza sulla propria identità e come gestirla. Solo chi è sicuro della propria identità, in questo caso maschile, può lasciar vivere il gay in quanto individuo e in quanto collettività. E solo chi è profondamente disorientato e in crisi prima schiaffeggia e poi pretende prestazioni sessuali da un trans».

D - Viltà e inconsapevolezza si mescolano ad una pretesa mascolinità violenta. Gli stupratori del trans scendono dal treno e guardano stupefatti la polizia che li blocca ritenendosi assolutamente innocenti. Se si dimostrerà che il parà è morto per un fatto di nonnismo i suoi commilitoni prima l’avrebbero istigato a compiere un atto di coraggio salvo poi, di fronte alla sua agonia, fuggire. Non sono comportamenti schizofrenici?

R - «Quando non si ha consapevolezza dell’aggressività ed essa non è stata incanalata non ci si rende neppure conto della gravità delle proprie azioni. E’ proprio questa l’inconscietà della violenza di oggi. Si finisce per esercitare il coraggio buttando sassi dal cavalcavia. Del resto, anche la società è schizofrenica perché manda un doppio messaggio: non essere aggressivo perché quella è una forza primordiale, di oscure civiltà. E contemporaneamente: per fare l’amore e procurarti il cibo serve una certa dose di aggressività».

D - Scusi, per far l’amore va bene. Ma per procurarti il cibo oggi non serve più cacciare, basta entrare al supermercato…

R - «Si, ma lei dove se li procura i soldi per andare al supermercato? Dovrà lavorare, faticare. Nessuno ti regala il tuo posto al mondo. Lo si conquista anche facendo agire l’aggressività che, ad esempio nel bambino, è un elemento fondamentale per entrare in comunicazione con il mondo. Invece noi neghiamo tutto questo. Salvo poi rivalutarlo positivamente quando si tratta di mandare i tornado a bombardare Slobo Milosevic».