Uomini: riscoprire le linee maschili della nostra identità ci rende migliori

Con Barack Obama ed Elie Wiesel: onorare il passato per capire il presente e fecondare il futuro

a cura di Ivano

7/06/09. Mentre in Italia si propone una nuova legge sul cognome da attribuire al nascituro per demolire il legame con la linea maschile e paterna della identità della persona (cfr. Claudio Risé, L’identità nel cognome, Il Mattino di Napoli, 1/06/09), c’è invece chi sottolinea quanto la memoria di questa traccia sia stata decisiva nella formazione della propria visione del mondo. È quanto hanno fatto il Presidente americano Barack Obama e il Nobel per la pace Elie Wiesel durante la recente visita al campo di sterminio di Buchenwald in occasione del viaggio del premier statunitense in Europa.

Obama ha ricordato quanto sia rimasto impressionato dalle notizie sul ritorno del pro-zio Charlie Payne, membro di una divisione alleata che liberò Buchenwald: lo zio infatti rimase per mesi nel silenzio e nell’isolamento, nella difficoltà di comprendere gli orrori che aveva visto, con grande preoccupazione della famiglia e degli amici. Un fatto profondo che ha spinto Obama a conoscere di persona uno dei luoghi dell’Olocausto per ammonire poi tutto il mondo, con grande realismo, a vigilare e costruire la pace in quanto l’uomo è capace di fare grandemente il male così come il bene. Non solo: la memoria di quanto ha appreso sul dramma vissuto dal pro-zio gli ha confermato l’esistenza di verità che nessuno, come fa un certo revisionismo storico, può negare: fatto che Obama ha rimarcato con virilità dicendo del leader di Teheran “Ahmadinejad dovrebbe fare la sua visita. Non ho pazienza con chi nega la storia”.

Elie Wiesel ha messo al centro del suo discorso la figura del padre raccontando la deportazione che li ha colpiti insieme, la malattia del padre spirato poi nella stessa baracca, sul misero giaciglio posto al di sopra del suo: “Il giorno in cui morì fu uno dei più bui della mia vita. Divenne debole, malato, e io ero là. Ero là mentre soffriva, ero là quando chiedeva aiuto, quando chiedeva un po’ d’acqua. Ero là quando disse le sue ultime parole, per riceverle. Ma non fui là quando chiese di me, sebbene fossimo nello stesso block, lui sul letto al di sopra del mio. Chiamava il mio nome ed io ero troppo spaventato per muovermi. E poi morì. Io ero là, ma era come se non lo fossi. Poi un giorno pensai che sarei tornato qui per parlargli”. Per parlargli di come era diventato il mondo – continua il premio Nobel – dopo che il mondo aveva imparato attraverso il sacrificio di molti una lezione impossibile da dimenticare. Eppure, nota Wiesel, il mondo in realtà non ha imparato molto: basta pensare al Darfur, al Rwanda, alla Bosnia… E noi aggiungiamo anche i milioni di bambini uccisi con l’aborto in Italia [ndr].
Una consapevolezza e una responsabilità che Wiesel sembra dunque sentire di fronte allo sguardo del padre che lo segue da tutta la vita da anni (Wiesel racconta di suo padre in http://www.youtube.com/watch?v=TeyzOvWQzFI ) ed è diventato filo comune di gran parte delle sue opere. Prima tra tutte L’Oblio (Bompiani) in cui un vecchio padre, ormai malato incurabile, invia suo figlio dagli Usa in Europa alla ricerca di un passato sconosciuto al giovane ma che rinsalderà lo sguardo dei due nella condivisione della memoria. Per tentare di comprendere: il padre attraverso gli occhi del figlio e il figlio attraverso gli occhi del padre, nel gioco di una memoria onorata. “La nostra vita non appartiene solo a noi ma appartiene a tutti quelli che hanno bisogno di noi disperatamente” ha detto Wiesel in conclusione del discorso tenuto ad Oslo nel 1986 quando vinse il Nobel per la pace. La linea maschile infatti è la linea del dono di sé, di cui questo mondo ha tanto bisogno.

[08 giugno 2009]