SCUOLA SENZA PADRI

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000

E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano

oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it 

 


Un giovane insegnante deluso


«Sono un “precario” di 36 anni, e insegno alle scuole superiori. Ho tre bambini, e mia moglie ha scelto di occuparsene a tempo pieno. Pensavo di essere giunto alla fine del precariato quando le nuove norme di reclutamento, l'inserimento degli specializzati SSIS, la riduzione dei posti disponibili, mi ha riportato a quando iniziai a fare supplenze. Ora devo abbandonare l' insegnamento, e cercare un posto di lavoro per provvedere alla famiglia. Per gli uomini della mia età, con una famiglia da mantenere, non si può restare in balia delle regole fluttuanti del precariato. Infatti nelle Superiori gli insegnanti maschi, hanno in genere più di 45 anni. Mancheranno dunque sempre di più insegnanti che rappresentino la figura del padre "giovane". Le madri ci sono, in abbondanza. Ma con i “padri giovani”, non viene meno un importante collante tra le generazioni che vivono nella scuola? Associare l'autorevolezza di un buon insegnante ad un' età più vicina a questi ragazzi, non ha importanza? E l' aver scelto una strada di servizio, e non di "carriera" ? E fra dieci, quindici anni, quando i più anziani se ne andranno in pensione, dove saranno i professori maturi? Non ci saranno».

Lettera firmata 


Caro amico, la sempre più veloce femminilizzazione del corpo insegnante, nella scuola italiana (e in tutto l'occidente), è ormai un fenomeno ampiamente documentato. I lettori possono trovarne i dati sul sito della Libera Associazione per il progresso dell'istruzione (www.fogliolapis.it ), che ha condotto sul tema un ampio sondaggio, d'intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione. Si tratta, come lei dice, di un fenomeno dalle conseguenze molto gravi. Con cause non solo economiche, pure importantissime. C'è ormai una psicologia della scuola femminilizzata, che tende a marginalizzare gli ultimi insegnanti maschi, come corpi estranei. Lo dimostra , tra l'altro, l'incredibile vicenda del maestro elementare Maurizio Boscherini, trasferito coattivamente per “incompatibilità ambientale” da Santa Sofia di Forlì in un paesino di montagna, a più di un'ora di strada da casa sua. La causa? L'inimicizia con le colleghe, provocata dal rifiuto di firmare circolari sotto la dicitura: “Le insegnanti”, che il maestro si era permesso di correggere in: “Gli insegnanti”. Inoltre Boscherini continuava l'attività didattica, gratuitamente e fuori dalla scuola, anche il sabato, la domenica e nelle vacanze: un'aggravante. La vicenda, narrata in: L'ultimo maestro, firmato come "Dernier (l'ultimo)”, (Ed. Beta, tel/fax 064103293; ed.beta@flashnet.it ), illustra bene l'effetto di esclusione che una scuola ormai femminilizzata esercita anche nei confronti di quei pochi uomini in grado di reggere I disagi burocratici e economici che si accompagnano all'insegnamento. Non si tratta, dunque, solo di mancanza di "padri giovani", ma, come lei stesso nota immaginando l'immediato futuro, di assenza nella scuola della figura maschile, rappresentante nella psiche degli allievi di quella paterna. La "scuola senza padri", è, d'altronde, la scuola di quella che è stata chiamata già da tempo "la società senza padri": appunto la nostra. Una società dove le attività educative, di addestramento e formazione dei giovani, a tutti livelli, (tra cui la scuola, e la famiglia) , non sono più svolte da figure maschili, legate all'immagine archetipica del padre ed alla sua particolare energia. Bensì da figure femminili, che rimandano al mondo della madre , con la sua diversa energia e cultura: importante, ma non più dinamizzata dal confronto (a volta dal contrasto), con quella maschile-paterna. Il cui tratto fondamentale è, a mio parere, la trasmissione del significato della perdita, che, a livello profondo, è al centro dell'esperienza psicologica del maschile. Una scuola senza maschi-padri è una scuola che non insegna a perdere. E, quindi, non assicura nessuna vittoria. Neppure su sé stessi, come le cronache quotidianamente dimostrano.

Claudio Risé

 

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