La scomparsa del padre

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000

E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano

oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it 

 


La morte prematura del genitore risveglia nel figlio forti sensi di colpa: soprattutto quando al lutto della perdita si somma il dolore di un rapporto "mancato". E il suo rimpianto.


«Ho 22 anni e da quando è morto mio padre, circa un anno fa, ho un sogno ricorrente. Sono bambino e mio padre mi sgrida e mi sculaccia perché è molto arrabbiato con me. In realtà mi sento molto in colpa verso di lui: sono sempre stato un ribelle, lui mi definiva “un ragazzaccio insolente”. E’ sempre stato molto severo con me. Da bambino mi sculacciava spesso e lo odiavo perché trovavo umilianti quelle punizioni. Anche crescendo ho sempre avuto un rapporto conflittuale con lui: litigavamo spesso e a volte mi prendevo un ceffone. Ma, ora che è morto, penso che probabilmente sono stato un pessimo figlio e che, se non fossi stato così ribelle, avrei avuto un rapporto migliore con lui. Mi sento in colpa verso un padre severo, che in fondo mi amava e voleva solo che mi comportassi bene».

Ivano, Sassari

«Ho 45 anni e sono tormentato dal cattivo rapporto con mio padre, morto da più di un anno. Cattivo, a dire il vero, ero soprattutto io. Lui era infelice con mia madre e un po’ assente, ma mi ha sempre sostenuto nei momenti decisivi della mia vita. Anche da piccolo era molto coinvolto, attento alla mia crescita. Io però gli attribuivo la colpa della depressione di mia madre, che lo accusava della sua infelicità. Solo da poco ho capito che è una donna malata e che mio padre non poteva farci nulla. Ora che lui non c’è più mi rimane il rimpianto di tutte le cose che non ci siamo detti e che non abbiamo vissuto insieme».

Carlo, Milano


Cari amici, il vostro è, purtroppo, un rimpianto diffuso, di questi tempi. La svalutazione della figura paterna, caratteristica della nostra cultura, fa sì che ogni gesto di autorità venga scambiato per autoritarismo, scatenando nel figlio un’avversione profonda, come nel caso di Ivano. Tutto ciò impedisce al conflitto padre-figlio, ingrediente indispensabile dell’educazione, di trovare la sua soluzione dopo l’adolescenza, quando il giovane può capire che i divieti e gli interventi paterni servivano a insegnargli a vivere, senza tirarsi indietro di fronte alla durezza. D’altra parte la centralità della figura materna, caratteristica della famiglia d’oggi, tende a presentare il padre come responsabile di tutti i suoi eventuali problemi, come nel caso di Carlo. Diventa così più difficile non solo l’alleanza tra padre e figlio, in cui il giovane trova gradualmente la sua identità e la sua forza, ma anche un normale conflitto edipico. Il figlio, infatti, non riesce più a sentirsi avversario del padre nella conquista della madre, che assume un ruolo di “tutore” contro la brutalità o la disattenzione paterna. In questo modo il nucleo, più o meno simbiotico, della dipendenza madre-figlio non si scioglie, il figlio non accede a una situazione affettiva e simbolica adulta e il padre viene respinto all’esterno, spesso fuori dalla stessa famiglia e dai suoi affetti. A volte però il genitore riesce comunque a gettare il seme dello sviluppo del figlio che, una volta divenuto adulto anche affettivamente, capisce e soprattutto “sente” come sono andate effettivamente le cose. Di fronte alla sua prematura scomparsa, il problema psicologico del conflitto con il padre, già difficile e doloroso, va a sommarsi a quello dell’elaborazione del lutto per la sua morte. Il senso di colpa e il rimpianto catturano il figlio, che vive il dolore per un rapporto mancato. Eppure, quando “sente” l’amore del padre, significa che qualunque sia la sua età, è “diventato grande”, un uomo. Ed è proprio questo – non la riconoscenza o la comprensione – l’obiettivo di un vero padre, la cui funzione consiste nel donare, non nel ricevere. Quindi, cari amici, coltivate pure il vostro rimpianto, senza tuttavia sentirvi troppo in colpa. Ormai avete accettato il dono del padre. Ed è quanto il vostro genitore desiderava.

Claudio Risé

 

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