Non
ha impedito all'ex fidanzata di abortire. Ma il rammarico, a distanza di
anni, si fa pungente. Perché ogni maschio ha una relazione profonda con il
suo potere riproduttivo.
«Una mia ex
fidanzata, ora felicemente sposata, mi ha detto di aspettare un bambino.
Sono stato contento per lei e per il bimbo, ma contemporaneamente sono
entrato in uno stato di forte disagio. E' tornato, più vivido di allora,
il ricordo di un aborto che lei ha fatto quando eravamo insieme, e che io
non ho cercato in alcun modo di evitare. Le dissi, allora, di decidere
lei. Se avesse tenuto il bambino, l'avrei riconosciuto, e magari avremmo
fatto una famiglia, se avesse deciso di abortire, le avrei dato una mano
e le sarei stato vicino. Tutto chiaro, tutto razionale, tutto corretto.
Temevo, se avessi insistito perché lo tenesse, di forzarla in qualcosa di
suo. Ma ora mi accorgo che mentre recitavo questa saggia parte, mi sentivo
un vigliacco. E penso anche, da indizi che mi ritornano in mente adesso,
ma cui allora non diedi importanza, che lei si deve essere sentita molto
sola. Infatti dopo poco la nostra storia finì, nell'imbarazzo. Eppure, non
so dove ho sbagliato. Il figlio riguarda soprattutto la donna, come potevo
prendere una posizione più decisa? Tuttavia, forse io quel bambino lo
desideravo moltissimo. Perché non ho avuto il coraggio di dirglielo?».
Lettera firmata
Caro amico, in quell'occasione
lei fu “agito”, manovrato dall'inconscio, da due condizionamenti diversi.
Nel primo confluivano, probabilmente, le sue resistenze ad assumersi la
responsabilità di dare il via ad una famiglia, dove lei sarebbe stato
padre e marito, rinunciando quindi alle “comodità” dello status di figlio
in cui (come mi racconta in altre parti della sua lettera), ancora si
trovava. Ma oltre a queste motivazioni personali, in gran parte inconsce,
lei é stato condizionato dal pregiudizio collettivo circa il ruolo
maschile di fronte all'aborto. La nostra cultura, fortemente
materialistica e quindi psicologicamente assai rozza, pensa che, poiché il
bimbo si trova nel corpo femminile, il maschio non abbia praticamente
rapporto con lui, il suo ruolo sia essenzialmente quello di “assistere”
nel modo più adeguato le decisioni della donna. Nel profondo, però, le
cose vanno diversamente. Innanzitutto c'é l'identificazione con la figura
del “marito e padre” attraverso la quale, nella relazione col padre, ogni
maschio costruisce, nell'infanzia e adolescenza, una parte molto
consistente della propria identità complessiva. Dopo di allora, ogni
esperienza di paternità interpella energicamente l'identità maschile.
Accettarla significa uscire dall'esperienza rafforzati nella propria
maschilità, rifiutarla porta quasi sempre ad un vissuto, più o meno
inconscio, di debolezza.
Ogni maschio ha inoltre una relazione molto profonda, anche se ancora poco
studiata, con la propria potenzialità riproduttiva, col proprio seme. Lo
psicoanalista americano Eugene Monick, spiega il fondo depressivo
frequente nel maschio dopo il coito, con la tristezza per gli organismi
viventi cui egli ha dato luogo con l'emissione del seme, in gran parte
destinati a morire. Infine, a smentire la neutralità psicologica del
maschio nei confronti della riproduzione, c'é la forza archetipica
dell'immagine del Fanciullo, che viene sempre attivata quando é concepita
una nuova vita. Essa si manifesta dall'inconscio, prima ancora che il
futuro padre sappia che c'é un bimbo sulla sua strada. Spesso, dopo la
fecondazione dell'ovulo, nei sogni dell'uomo appaiono immagini di bambini,
di cambiamento, di nuova vita, senza che egli nulla sappia di cosa sta
accadendo nel corpo della donna. Tradire il richiamo dell'archetipo
che si é contribuito ad attivare comporta, come dimostra Jung in tutti i
suoi lavori, un notevole rischio psicologico. E' anche per questo che
l'uomo che non si prende la responsabilità del figlio alla cui vita ha
dato inizio, deve poi affrontare una fase depressiva che l'aiuti a
prendere coscienza dell'accaduto, e ad integrarne il lutto, elaborandolo.
Subito, o anche anni dopo, come sta capitando a lei.
Claudio Risé
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