Dalla rubrica info/psiche lui, Io
Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000
E’ possibile scrivere a Claudio Risé,
rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132,
Milano
oppure collegandosi al sito
www.claudio-rise.it |
Riversano al loro esterno la loro rabbia senza
preoccuparsi delle conseguenze. Perchè mancano di quello "spazio
interiore" che permette di prestare attenzione a se stessi. E agli altri.
«Sono un educatore e
nel mio lavoro ho notato che la maggior parte dei ragazzi “troppo
vivaci” con cui ho a che fare (ne avete scritto in Psiche lui, Io donna,
26 ottobre) ha un elemento in comune: il padre è morto, è lontano perché
separato dalla moglie, oppure è via per lavoro per intere settimane. Nello
stesso tempo seguendo la cronaca ho scoperto che l' uso improprio
dell’aggressività e violenza, accomunano anche personaggi che vengono
messi in evidenza dalla cronaca: dal figliastro del cecchino di Washington
ai bambini delle scuole militari russe (molti dei quali sono senza padre),
addestrati all'uso delle armi, e a tecniche per uccidere un uomo anche a
mani nude. Vorrei allora chiederle: come si può indirizzare correttamente
un giovane insegnandogli ad usare la propria “vivacità” (o aggressività)?
C’è una terza via rispetto alla narcotizzazione con psicofarmaci, o alla
trasformazione dei ragazzi in macchine di violenza?»
Lettera firmata, Varese
Caro amico, l'iper
attività, la mancanza di concentrazione, il riversare coattivamente
all'esterno la propria aggressività senza badare alle conseguenze, hanno
un tratto comune. Tutte queste forme sono caratterizzate da un
atteggiamento fortemente estroverso: l'energia psichica, che Carl G. Jung
riassumeva nel termine "libido", è qui completamente rovesciata
all'esterno. Il soggetto manca di quella capacità di "centrarsi su di sé",
che è indispensabile per potersi interessare, in modo coerente e costante
a qualcosa fuori di sé. Più in generale, manca il "mondo intimo" del
soggetto, quell'ambito di interessi, fantasticherie, luoghi, gusti, del
tutto personali, che è appunto il luogo psicologico "interno", in cui
prende forma una vera attenzione verso l'esterno
(e quindi anche ciò che chiamiamo: concentrazione).Quel "mondo intimo",
personale, è inoltre il nostro "giardino segreto", lo spazio psicologico
ed affettivo in cui ci possiamo rifugiare quando il mondo esterno ci ha
inflitto una delusione, una perdita. E' sempre quello, dunque, il
territorio in cui, gradualmente, prende forma la nostra "autonomia"
dall'esterno, che ci sottrae dal diventare dipendenti da ogni oggetto
amato, ci mette progressivamente in grado di iniziative personali, e ci
offre una certa "capacità di tenuta" contro le avversità della vita. Come
mai oggi sono così numerosi i bambini, e i giovani (ma anche i giovani
adulti), che mancano completamente di questo spazio personale,
indispensabile alla costituzione di un soggetto psicologico in grado di
entrare in relazione con il mondo esterno in modo costante, determinato, e
progressivamente autonomo? Un'indicazione ci viene dall'estroversione
coatta, che caratterizza queste diverse manifestazioni di aggressività. Se
l'individuo giovane non riesce a "restare in sé", ciò accade perché fin
dalla primissima infanzia è in genere mancato quell'ambito di
"contenimento" affettivo, ed anche fisico, che consente al bambino di
percepirsi come soggetto-oggetto d'amore, e di vedere crescere
gradualmente il proprio "spazio intimo", come la più preziosa risorsa
affettiva. Questo ambito di contenimento, fisicamente e simbolicamente
rappresentato dall'abbraccio della madre, si realizza appunto, per solito,
in una forte e continua relazione con la figura materna nel primo periodo
della vita. Se questa manca, anche la capacità di contenimento diventa
difficile. Quanto poi alla "capacità di tenuta" nei confronti delle
privazioni e delle perdite, è lì che l'assenza delle figura paterna fa
sentire i suoi effetti, che si manifestano poi come impossibilità di
reggere le ferite affettive, senza riversarne aggressivamente i costi
sugli altri. La mia impressione è insomma che per evitare trattamenti
farmacologici in età infantile, o scoppi di violenza incontrollata più
avanti nella vita, è indispensabile un'attenta e amorosa presenza di
entrambi i genitori; la madre soprattutto nella prima fase della vita, e
il padre dalla prepubertà in poi.
Claudio Risé
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