Il papà in sala parto

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000

E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano

oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it 

 


Assistere alla nascita del figlio fa ormai parte di un programma sociale a cui molti uomini non sanno sottrarsi. Anche se preferirebbero aspettare fuori, come facevano i loro padri.


«Fin dall'inizio della gravidanza di mia moglie, quando l’accompagnavo in ospedale per i controlli, mi ha colpito come  molti uomini vivessero la loro paternità, più che come una loro vicenda personale, come qualcosa in cui dovevano guadagnarsi un buon voto dalle donne. Nel  reparto ostetricia  padri “spingicarrozzina”, fierissimi di essere tali, spiavano ogni minimo segno di approvazione da parte delle altre donne, specialmente le madri delle madri. Ho capito subito che il “bravo marito-padre” deve assistere al parto: tutto è impostato così, di default. E non mi sono sottratto. Però, ho dentro di me  la figura (solo immaginata) di mio padre che consuma una sigaretta dietro l'altra, relegato fuori,  lontano da quello che è un momento tra donne, pieno di umori verdi, sangue e placenta. E mi sembra più appropriata, più giusta per l'uomo, ed anche più rispettosa sia del mistero femminile della generazione, sia del fatto che c'è un limite a quello che ognuno, uomo e donna, può sopportare. Non mi sono sottratto, mi sono  adattato al programma previsto. Ma con riserva. Lei che ne pensa?»

Massimo, Torino


Caro amico, per quanto riguarda i comportamenti umani, sono contrario ai programmi prefissati e buoni per tutti, come lei dice: “impostati di default”. L’uomo non é un computer, e quindi é indispensabile salvaguardare ad ognuno la sua personale sensibilità. Ed anzi, se per caso non la conosce, aiutarlo a scoprirla, ed a rispettarla. Impedire  l’accesso alla sala parto  ai padri, come accadeva fino a non molti anni fa non andava bene. In molte coppie infatti la presenza del padre al parto era sentita come naturale prolungamento di una rapporto a tre, madre-padre-bambino, che era già consapevolmente, e fisicamente cominciato durante la gravidanza, e che quindi era giusto che proseguisse nel momento della nascita. Altrettanto unilaterale, anche se di segno opposto, é l’attuale, prevalente regime, che vuole che  il padre  presenzi  alla nascita del figlio. Anche qui, in nome di principi buoni per tutti, dunque astratti, si scavalca il sentire individuale. Gli uomini che sentono spinte contrarie a farlo, e che quindi farebbero bene ad assecondarle, sono molti.
Alcuni, come mi sembra lei, vedono nel parto un evento che appartiene all’ambito più profondo del femminile e della sua capacità di “dare alla luce” ciò che ha nutrito, e che quindi nell’ambito femminile della partoriente e delle ostetriche e ginecologhe  va lasciato, con l’unica partecipazione “tecnica” del chirurgo, che in quanto operatore al servizio dell’evento non ne altera la qualità, appunto femminile. Gli uomini che sentono in questo modo, quando sono in sala parto, hanno l’impressione di essere dei voyeur, chiamati ad assistere a qualcosa che, in quel momento, non c’entra con loro. E si sentono molto più lontano da quanto vedono di quanto accadesse ai loro padre che, appunto fumando in corridoio (come lei pensa facesse il suo), poteva immaginare la scena della nascita come voleva, e poteva.
Per altri, l’immagine fisica del parto si rivela in realtà un’esperienza difficilmente assimilabile, che crea difficoltà poi nella relazione con la donna, col bambino, o con entrambi. Tutti, più o meno oscuramente percepiscono che stanno violando un tabù, anche se lo fanno sollecitati, se non “comandati”, da un programma sociale. Si tratta del tabù che, consapevole del valore vitale per il neonato dell’esperienza fusionale madre-bambino, considera nella maggior parte delle tradizioni antropologiche il parto un momento essenzialmente femminile, dal quale gli uomini dovevano tenersi ad una certa  distanza,  stabilita appunto, dal gruppo delle donne.
Del resto, contrariamente ad ogni psicologia  egualizzante (globalizzante), la relazione tra uomo e donna, come ogni relazione tra diversi, cresce e si sviluppa armoniosamente quando sa prevedere momenti di avvicinamento e momenti di distanza,  di unione e   di separazione. Il parto, per molti, é un momento di necessaria distanza. Da rispettare.

Claudio Risé

 

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