Una separazione sofferta. Una svolta radicale. E
soprattutto il doloroso allontanamento dai bambini. Che crescono lontano.
Ma molti uomini si ribellano. E cercano solidarietà.
«Ho
41 anni, e sono separato da quasi tre. La cosa che più mi fa soffrire é
il non poter stare assieme ai miei due bambini, rispettivamente di 5 e 10
anni, nel modo per il tempo cui ero abituato. Lei avrà certamente
ricevuto altre lettere di padri separati, non affidatari dei figli (come é
purtroppo, ancora oggi, prassi comune in Italia, indipendentemente da
come siano andate le cose).
Ma alcuni di questi padri, come me, si sentono anche madri. Padri che
hanno passato tutti i momenti non lavorativi della loro vita a giocare
insieme con i figli, che ne hanno fatto una ragione di vita, come e più di
tante madri. Ed ora, proprio in questi anni preziosi in cui i miei due
figli stanno crescendo, io non posso accompagnarli quotidianamente sui
loro passi. E’ come se il treno della loro crescita passasse davanti a me
consentendomi di salirvi solo per poche, e brevi, fermate. Sento che ai
miei bambini manca un riferimento indispensabile, in questi anni delicati
e importanti. Lo sconforto per tale situazione, che non posso modificare,
mi rende spesso privo di qualunque voglia di vivere, ed incapace anche
solo di pensare a una vita personale al di fuori di loro».
Carlo, Frosinone
«Caro amico, il suo
stesso strazio compare in tante lettere simili, e nei vissuti di molti
uomini, che vengono in analisi proprio per affrontare, e curare la sua
stessa ferita. Ciò é senz’altro terribile, perché rivela un disagio
diffuso (che non potrà non riflettersi anche sui bimbi), per come viene
generalmente “sistemata” la questione dei figli, dopo la separazione. Però
rivela un cambiamento importante: anche solo dieci anni fa i padri
subivano in modo più passivo, e con minore o nessuna consapevolezza, una
situazione ancora più devastante per loro, e per i loro figli, in cui
l’affidamento congiunto era rarissimo, e quello al padre pressoché
sconosciuto. La prima cosa da fare é dunque di non vivere la sua
situazione in modo isolato, e come se fosse assolutamente immodificabile.
Per trovare la forza per affrontare e trasformare il nostro dolore
occorre riconoscerlo come appartenente a una condizione umana (in questo
caso maschile, e paterna), collettiva, che può essere collettivamente
affrontata e modificata.
Come, in effetti, sta avvenendo, con
iniziative molteplici, che tendono ad affrontare, e modificare proprio
problemi come il suo. Su Internet, partendo dal sito
www.ancoragenitori.it , le sarà facile trovare un rapporto, magari per
ora simbolico, con le migliaia di uomini che oggi vivono il suo stesso
dramma, e combattono per superarlo. Ciò é necessario, anche perché la sua
lettera, toccante, é dominata da un sentimento, che può avere effetti
diversi, per lei e per i bambini, a seconda delle direzione in cui viene
sviluppato. Si tratta della disperazione per non poter essere per i suoi
figli quel riferimento presente e significativo che il padre deve essere.
E’ certamente un sentimento sacrosanto, che, per non diventare
distruttivo, va tuttavia vissuto, come abbiamo visto, in modo attivo,
impegnandosi perché le cose cambino. E ciò non solo per farle,
effettivamente, cambiare. Ma, in primo luogo, perché i suoi figli
hanno bisogno di percepire nella relazione con lei, e quindi coltivare
dentro di sé, non l’immagine di un padre sconfitto, ma di un padre
attivo, che crede nella trasformazione. Nell’ordine simbolico, cui
la nostra psiche tende incessantemente, il padre é immagine dell’attività,
ed anche del cambiamento. Un’ immagine positiva che lei potrà
trasmettere ai figli, anche nell’amputato rapporto con loro che la legge
le attribuisce, senza alcun bisogno di parlare di ciò che fa perché le
cose cambino (da evitare accuratamente, per non riversare su di loro
responsabilità di altri), ma perché l’inconscio dei figli lo percepirà
comunque. Insomma, un padre che lotta trasmette energie diverse di un
padre che piange: ed é delle prime che i figli hanno bisogno per crescere,
ed affrontare i cambiamenti legati al sviluppo. Anche al padre
comunque, dopo aver pianto il necessario, lottare farà solo bene».
Claudio Risé
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