Padri senza figli

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000

E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano

oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it 

 


Una separazione sofferta. Una svolta radicale. E soprattutto il doloroso allontanamento dai bambini. Che crescono lontano. Ma molti uomini si ribellano. E cercano solidarietà.


«Ho 41 anni, e sono separato da quasi tre.  La cosa che più mi fa soffrire é il non poter stare assieme ai miei due bambini, rispettivamente di 5 e 10 anni, nel modo  per il tempo cui ero abituato. Lei avrà certamente ricevuto altre lettere di padri separati, non affidatari dei figli (come é purtroppo, ancora oggi,  prassi comune in Italia, indipendentemente da come siano andate le cose).
Ma alcuni di questi  padri, come me,   si sentono anche   madri. Padri che hanno passato tutti i momenti non lavorativi della loro vita a giocare insieme con i figli, che ne hanno fatto una ragione di vita, come e più di tante madri.  Ed ora, proprio in questi anni preziosi in cui i miei due figli stanno crescendo, io non posso accompagnarli quotidianamente sui loro passi. E’ come se il treno della loro crescita passasse davanti a me consentendomi di salirvi solo per poche, e brevi, fermate. Sento che ai miei bambini manca un riferimento indispensabile, in questi anni delicati e importanti. Lo sconforto per tale situazione, che non posso modificare, mi rende spesso privo di qualunque voglia di vivere, ed incapace anche solo di pensare a una vita personale al di fuori di loro».

Carlo, Frosinone


«Caro amico, il suo stesso strazio compare in tante lettere simili, e nei vissuti di molti uomini, che vengono in analisi proprio per affrontare, e curare la sua stessa ferita. Ciò é senz’altro terribile, perché rivela un disagio diffuso  (che non potrà non riflettersi anche sui bimbi), per come viene  generalmente “sistemata” la questione dei figli, dopo la separazione. Però rivela  un  cambiamento importante: anche solo dieci anni fa i padri subivano in modo  più passivo, e con minore o nessuna consapevolezza, una situazione ancora più devastante per loro, e per i loro figli, in cui l’affidamento congiunto era rarissimo, e quello al padre pressoché sconosciuto.  La prima cosa da fare é dunque di non vivere la sua situazione in modo isolato, e come se fosse assolutamente immodificabile.  Per   trovare   la forza per affrontare e trasformare il nostro dolore occorre riconoscerlo come appartenente a una condizione umana (in questo caso maschile, e paterna),  collettiva, che può essere collettivamente affrontata e modificata.
Come, in effetti, sta avvenendo, con iniziative molteplici,  che tendono ad affrontare, e modificare proprio problemi come il suo. Su Internet, partendo dal sito  www.ancoragenitori.it , le sarà facile trovare un rapporto, magari per ora simbolico, con le migliaia di uomini che oggi vivono il suo stesso dramma, e combattono per superarlo. Ciò é necessario, anche perché  la sua lettera,  toccante, é dominata da un   sentimento, che può avere effetti diversi, per lei e per i bambini, a seconda delle direzione in cui viene sviluppato. Si tratta della disperazione per non poter essere per i suoi figli quel riferimento presente e significativo che il padre deve essere. E’ certamente  un sentimento sacrosanto, che, per non diventare distruttivo,  va tuttavia vissuto, come abbiamo visto,  in modo attivo, impegnandosi perché le cose cambino. E ciò non solo per farle, effettivamente, cambiare. Ma, in primo luogo,  perché i suoi figli hanno bisogno di percepire nella relazione con lei, e quindi  coltivare  dentro di sé, non l’immagine di un padre sconfitto,   ma di un padre attivo, che   crede nella trasformazione.  Nell’ordine simbolico, cui la nostra psiche tende incessantemente, il padre é immagine dell’attività, ed anche  del cambiamento. Un’ immagine positiva  che lei potrà trasmettere ai figli, anche nell’amputato rapporto con loro che la legge le attribuisce,   senza  alcun bisogno di parlare di ciò che fa perché le cose cambino (da evitare accuratamente, per non riversare su di loro responsabilità di altri), ma perché l’inconscio dei figli lo percepirà comunque.  Insomma, un padre che lotta trasmette energie diverse di un padre che piange: ed é delle prime che i figli hanno bisogno per crescere, ed affrontare i cambiamenti legati al sviluppo. Anche al padre comunque, dopo aver pianto il necessario, lottare farà solo bene».

Claudio Risé

 

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