Basta con il padre amico

Dalla rubrica  info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000

E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano

oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it 

 


Non è di un compagno che hanno bisogno i figli. Ma di un genitore che sappia esprimere le qualità proprie dell'età adulta: esperienza, equilibrio e capacità di guida.


«Ho letto con sorpresa l’esito di un recente sondaggio, secondo il quale i ragazzi non ne possono più dei genitori permissivi e amiconi. Ho quarant’anni, due bambini di quattro e otto anni, e per me e mia moglie il dialogo con i figli, la sostituzione del rapporto d’autorità con la sincerità e il dialogo sono riferimenti pedagogici importantissimi. Certo, non tutto fila liscio. Mi sembrerebbe pazzesco, comunque tornare a un autoritarismo nei confronti dei figli che non funzionava più già per i nostri genitori, e che, infatti, loro stessi avevano abbandonato. Non capisco se sondaggi come questi testimoniano la voglia di tornare alle “maniere forti”, che si coglie in giro, o se invece segnalino davvero un errore in atto nelle famiglie oggi. E ancora meno mi è chiaro quale sia il rimedio, se di errore si tratta».

Claudio, Novara


Caro amico, i dati del sondaggio, che lei riporta nella sua lettera, rispecchiano molto bene i sentimenti più diffusi fra gli adolescenti oggi. Solo il 4 per cento lamenta la severità dei genitori. La stragrande maggioranza protesta invece per le cose che danno fastidio a tutti i ragazzi: che a tavola si parli solo di soldi e di lavoro, che i genitori davanti a loro litighino senza ritegno, che non si pongano come riferimenti credibili per il loro modo di orientarsi nella vita. Ma, soprattutto, che invece di assumersi la responsabilità di dare indicazioni precise, i genitori cerchino di entrare in intimità con i figli e ottenere la loro piena fiducia, mostrandosi assai più desiderosi di ricevere (confidenze, approvazione, solidarietà), che di dare. E’ questa, come conferma anche la mia esperienza di psicoterapeuta, la vera “zona d’ombra” nel rapporto che oggi si riscontra sempre più spesso fra genitori e figli. Il modello sociale del consenso e dell’omologazione, che induce a essere – o quanto meno ad apparire – tutti uguali ha soppiantato anche in famiglia quello del confronto, che spinge invece a riconoscere le reciproche differenze, cui corrispondono doveri, responsabilità e stili di comportamento diversi. Si dimentica così che l’educazione e lo sviluppo affettivo dei giovani esigono, invece, il riconoscimento delle differenze e la loro valorizzazione. I genitori, in quanto adulti responsabili dei loro figli, sono chiamati a esprimere le qualità proprie dell’età adulta: esperienza, equilibrio, capacità di guida e disponibilità ad assumersene gli oneri. E’ naturale che un ragazzo non sia affatto grato a un genitore che gli apre il suo cuore e gli rovescia addosso le sue pene d’amore o le sue preoccupazioni per il futuro: il bisogno dell’adolescente è proprio l’opposto, quello di trovare nella figura genitoriale una guida salda. Certo, si tratta di una saldezza relativa: anche l’adulto ha i suoi disorientamenti e le sue perplessità. Ma non deve scaricarle sui figli, che si aspettano da lui esattamente il contrario: hanno bisogno infatti (almeno finché non saranno cresciuti) della sua energia e non della sua debolezza. Da questo punto di vista il rapporto educativo è una relazione parziale: il genitore dona, senza necessariamente ricevere, ed è tenuto a presentare ai figli gli aspetti più “risolti” della sua personalità, indispensabili alla loro crescita e alla loro formazione. Aspetti e virtù che quindi dovrà anche coltivare dentro di sé, facendo loro spazio nella vita, per non cadere in una posizione ipocrita e, quindi, educativamente inefficace. Non si tratta di tornare allo stile autoritario del passato. Ma di chiedersi, con spietata franchezza, se l’attuale stile “paritario” non sia più funzionale ai bisogni dei genitori che a quelli dei figli. E non venga adottato proprio per questo.

Claudio Risé

 

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