Ernst Jünger: una bibliografia/palestra per esercitare sottili capacità critiche

Ereditata dal padre la passione per l'osservazione della natura, Ernst Jünger ne supera presto gli orientamenti utilitaristici per farne dimensione costante e centrale della sua ricerca personale prima ancora che della sua ricca opera.

Non viene meno il rigore scientifico del raccogliere, nominare, classificare (il "culto segreto di Linneo", sull'Eremo della Ruta delle Scogliere di marmo), ma l'indagine fuoriesce decisamente dal ridotto positivistico, diventa metafisica, intuizione della "scrittura della natura", mai priva di "sguardo stereoscopico" per cogliere segrete armonie. "Muove dall'oggetto (il giglio indicato), attraverso il tipo (il giglio nominato), alla forma e infine all'indistinto" (Tipo Nome Forma). 

Nel Contemplatore solitario l'interesse per la natura vivente è denso desiderio di un invisibile Altro, visione di bellissime, spettacolari, inquietanti immagini di vita e di morte, metamorfosi di forme, ricerca del proprio destino, penetrazione attenta e attiva - più che negli Avvicinamenti sperimentali al mondo delle droghe.
La ricerca di senso personale è partecipazione all'atto di venerazione proprio di tutti gli esseri viventi: "Gli esseri e le cose venerano attraverso la loro esistenza. Il concerto degli animali del bosco saluta il sole al suo sorgere; i fiori si allungano verso di lui. La pietra comincia a respirare, si distende. Vi è poi il "canto" del colosso di Memnone all'alba, e la quartina che Goethe dedicò al respiro e alle sue grazie. L'impulso alla venerazione è insito nella materia. E' dunque possibile reprimere l'impulso, non la nostra partecipazione ad esso" (La forbice).
Se al "feticismo storico" (L'Operaio) dell'ultimo uomo, Jünger obietta indicando il movimento profondo della "storia della Terra", alle pretese titaniche della rivoluzione della tecnica il nostro Autore risponde ricorrendo alla "faccenda seria" delle Cacce sottili, alla ricerca dei simboli dell'Ordine violentato dal caos, e ancor più dai nuovi ordini imposti dai politecnici subalterni del potere: "Nella mia memoria, le immagini di un paesaggio ruotano tutte attorno all'istante durante il quale ho osservato con tesa attenzione un minuscolo punto di esso. E' in quei momenti che si stabilisce un contatto che genera una luce particolare". Donde arrivi quella "luce particolare" sarà pienamente evidente a Ernst Jünger nell'ultima parte della sua lunga vita, in cui sempre ha ricercato nella natura incontaminata i suoi riflessi.
Così il bosco, la Wildnis sono i territori verso cui si muove il Ribelle (Trattato del Ribelle), oltre la linea di un'esistenza sempre più artificiale, disincarnata, controllata, imbalsamata. Quando il movimento è limitato dalle aggressioni del tempo e della storia (personale e collettiva), la "caccia sottile" nella natura è ciò che consente di riguadagnare spazio, capacità di movimento. Non è un ritirarsi, è un ristorarsi. Non un fuggire, bensì un attingere a forze primordiali ed elementari della vita; non la pretesa diabolica di servirsene come strumenti, ma un accomodarsi nello scorrere della vita per una rinnovata assunzione di responsabilità. Una scuola per lo sviluppo di capacità critiche, di cui il Selvatico - figura di confine tra mondi diversi -, può far poi sapiente uso ovunque: "Sul muro del tempo crescono sempre muschi e licheni, come già li vide Leonardo. Le loro figure danno da pensare, da sperare anche: l'acqua della vita deve esservi filtrata. Il compito che ci resta è quello di separarla dal mare, dalle nuvole, dalla rugiada" (La forbice).
Il passaggio nella natura incontaminata è per Jünger una "escursione perigliosa": in essa non vi ha accesso l'organizzazione, con le sue false rassicurazioni. Lì l'uomo si confronta - solo e nel silenzio - con forze che minacciano di trovarlo impreparato ed inghiottirlo. Eppure la Wildnis è forse l'ultimo passaggio nel quale l'uomo di oggi "può sperare non solo di condurre la lotta, ma anche di vincere".
L'esito buono della personalissima caccia - la rinascita -, in epoca di regressioni collettive, di cui il "sentimento della madre terra" non deve diventare romantico surrogato, sembra correlato in buona misura all'attitudine alla presenza di sé: "L'uomo potrebbe sparire nell'immagine che ha, come un mago, evocata. Invece gli deve succedere il contrario; le immagini lo devono portare alla luce, poi possono cadere da lui come i petali dal frutto. Stiamo compiendo il movimento inverso dei romantici: noi emergiamo da quell'acqua nella quale loro si immersero" (Irradiazioni).
Lo spogliarci degli a volte troppo pesanti "bagagli culturali", la contemplazione attiva del sacro naturale, può allora davvero ridestarci alla visione di quella Luce cui Ernst Jünger dedica la sua bellissima, piena di grazia e gratitudine, professione di fede cattolica:

"Io busso, busso, busso.
Nel nome del Padre, del Figlio,
Dello Spirito Santo e della Terra
E dell'acqua
Sulla quale plana il Signore. Grazie.
Nani, nani, nani,
Bilancia, bilancia, bilancia
Stelle, stelle, stelle
Bilancia, bilancia, bilancia
Sinai
Sole, sole, sole
Amen Grazie."