Leggere wilderness: Per le foreste sacre (di Paolo Ciampi)

Paolo Ciampi
PER LE FORESTE SACRE
Un buddista nei luoghi di San Romualdo e San Francesco
Lit Edizioni srl 2017
A cura di Armando Ermini

Vorrà perdonarmi il lettore se la recensione di questo libro non riuscirà sicuramente a restituirne lo spirito e le suggestioni. Non si tratta infatti di una semplice cronaca, ma neanche di un saggio denso di sottili ragionamenti da approvare o confutare; è piuttosto il racconto di un cammino fra la Romagna e la Toscana, fra le cascate dell’Acqua Cheta di dantesca memoria e il santuario de La Verna passando per Camaldoli e il suo eremo, in cui cronaca, pensieri, ricordi, emozioni, sentimenti, ma anche riflessioni sul passato e sul presente, si incontrano, affiorano durante il cammino, suggeriti dai luoghi, dalla loro bellezza e dal carico di storia di cui sono testimoni silenziosi ma niente affatto muti.

Chi, come il sottoscritto, ha la fortuna di conoscere quelle zone avendole quasi per intero percorse anch’egli con lo zaino in spalla, sebbene con non identico spirito, può ancorarsi alla propria memoria, ricollegare queste pagine a ciò che ha attraversato e vissuto: un sentiero, una cresta, la foresta di faggi, quella di abeti col loro gioco di luci e ombre, l’acqua che si incontra durante il cammino, i casolari, i conventi, e cercare di rivivere quei momenti immergendosi nello spirito che ci propone l’autore. Ma anche chi in quei luoghi non è mai stato, durante la lettura del libro può fermarsi un attimo, chiudere gli occhi, pensare a quegli uomini del Medioevo, mettere a fuoco ciò che conosce della vita di San Francesco o San Romualdo, ma se del caso anche del Buddha, e lasciarsi trasportare dalle immagini che il libro evoca, sempre avendo ben chiaro in mente che sia i santi cristiani che l’asceta orientale erano alla ricerca di qualcosa che desse senso alla impermanenza terrena, e a quelle che il Buddha chiama le quattro sofferenze, “vecchiaia, malattia, morte, più una quarta sofferenza: la nascita con il suo tributo di dolore”. In quella ricerca, si creda nel trascendente o si pensi che tutto sia immanente, non si può tuttavia prescindere dalla natura, dal Sacro che essa evoca, dall’immergersi in essa rigorosamente a piedi; rigorosamente perché il vero scopo, ancor più della meta, è il cammino, come pensava Henry David Thoreau, che nei boschi cercava la saggezza del cuore. Durante il cammino troveremo, ad esempio, gli alberi; “Io sono l’albero”, “Tra gli alberi di Sasso Fratino”, “Uomini che piantano alberi”, “Nessun albero è solo”, sono titoli di capitoli del libro. Quegli alberi che, diceva San Bernardo di Chiaravalle “ti insegneranno più che i libri”, o che, queste sono parole di Jules Renard “sono forse i soli che conoscono il mistero dell’acqua”, altro elemento che il viandante che percorra quegli antichi sentieri incontra spesso. Il mistero dell’acqua! Che mai vorrà significare per noi uomini, ormai, del disincanto? Forse il segreto è racchiuso nelle parole di Lao Tse: “Niente al mondo è più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei”.

Non solo boschi, alberi ed acqua, però, si incontra camminando; anche persone e le loro opere e la loro vita. Come la sig.ra Lorenzina che sul terreno di un antico podere gestisce un vero agriturismo, trovato quasi per caso nel buio in cui i viandanti, quel giorno attardati, si erano perduti, e che attenta ai loro propositi di morigeratezza con sapori antichi e autentici. Come i monaci benedettini di Camaldoli, a cui, fin dal 1520, era affidata la custodia dei boschi. “Abbiano gli eremiti - recita la Regola del priore Paolo Giustiniani - grandissima cura e diligenza che i boschi, i quali sono intorno all’eremo, non siano scemati, né diminuiti in alcun modo, ma piuttosto, allargati ed accresciuti”. Del resto, recita la genesi che Dio pose l’uomo in un giardino perché lo coltivasse e lo custodisse, a significare che la convivenza fra uomo e natura, è non solo possibile ma auspicabile, e reciprocamente vantaggiosa quando non prevalgano gli istinti predatori.
Mi piace, prima di concludere, riprodurre questa frase dell’autore strappato dal tempo ad una più lunga permanenza a Camaldoli. “E poi almeno un canto gregoriano avrei voluto ascoltarlo. La voce maschile, ho letto, si rivolge a Dio con forza e coraggio, quasi tentasse la scalata al cielo. Molto diversa in questo dalla voce femminile che a quel cielo sembra quasi appartenere”. Qualche mese addietro, ho avuto la fortuna di entrare nella Chiesa russo-ortodossa di Firenze (splendido edificio ancorchè costruito ai primi del 900), durante una funzione religiosa. Ebbene, i canti intonati dal coro femminile, mi dettero identica impressione.
Infine, La Verna, fine del cammino. La grotta di Francesco, l’incombente Sasso Spicco, insomma Il suo luogo, scelto dal Santo perché, mentre lo saliva per la prima volta, “E eccoti venire una grande moltitudine di uccelli di diverse ragioni, li quali con cantare e batter d’ali, mostravano tutti grandissima festa e allegrezza”.
Conclude Ciampi, “qui avrei molto da imparare. Io, buddista, convinto che ognuno di noi può essere un uomo felice e a suo agio su questa terra, capace di sentirsi parte di tutto e tutto accogliere nella sua vita. Tutti sono dei Budda, in realtà, solo che devono ricordarselo. Cosa che è facile a dire, mica a fare. Poi, in cima a questo monte, alla fine di questo cammino, incontri San Francesco. E finisce che ti scappa detto: eccolo, un Budda”.